Alle 20.30 del 17 aprile 2016, ci lasciava il partigiano Bruno Paiardi (nome di battaglia “Faro”).
In base alle sue volontà, il corpo è stato cremato e le ceneri sono state disperse nel campo del tempio crematorio di S. Eufemia. Faro ha chiesto che non vi fosse alcuna cerimonia, e che non vi fossero fiori.
Lo ricordiamo con un estratto dalla breve biografia del partigiano, curata da Isaia Mensi:
Bruno Paiardi nasce ad Azzano Mella il 6 maggio 1924.
Suo papà lavora alla Togni ed era antifascista, per cui il 1° maggio veniva regolarmente incarcerato per qualche giorno.
Bruno entra da giovane a lavorare alla Breda e quando cade il fascismo, il 25 luglio 1943, insieme ad altri compagni comincia a “battezzare” qualche fascista. Pertanto, dopo l’8 settembre, con tre o quattro compagni deve “fare la lepre”, cioè scappare in montagna per salvarsi dalla vendetta fascista. È ancora a Brescia quando il 12 settembre arriva Leonardo Speziale ed è lui che viene incaricato di portargli una pistola Beretta e un caricatore prelevati dal deposito d’armi di Luigi Guitti (Tito Tobegia), ricavato in un loggiato presso casa sua, a Sant’Eufemia.
Quel giorno sono andato da Tito per prelevare da un solaio prossimo alla sua abitazione una pistola Beretta e due caricatori che poi ho portato a Speziale, che mi attendeva al bar Italia, presso via Moretto. Su quel solaio c’erano parecchie armi e nel maneggiarle mi è partito accidentalmente un colpo, che per poco non mi trapassava un piede
Tito l’aveva conosciuto precedentemente, girando per le osterie di S. Eufemia.
Il suo nome di battaglia Faro deriva dalla marina, a cui era destinato in qualità di dipendente della Breda, ma giunto il momento di presentarsi per il servizio militare a Venezia, in coerenza con le indicazioni dell’organizzazione comunista in cui militava, sceglie la via della montagna.
Anch’egli, come Tito, sale sui monti di Polaveno, entrando a far parte del gruppo comandato dall’avvocato bresciano Ferruccio Bonera, di cui facevano parte anche ex prigionieri inglesi e americani. Tito invece si era inizialmente posizionato in Quarone. È Faro che viene incaricato di scortare in montagna il ten. col. Ferruccio Lorenzini, alla soglia dei 57 anni. Partono insieme dalla stazione del tram di S. Faustino, dove l’ufficiale era arrivato insieme a due anziani compagni del Pci. Faro lo accompagna fino a Gombio, lasciandolo presso l’osteria “Addis Abeba”, dove c’era una fattoria in cui poteva trovare un posto per dormire, perché non ce la faceva più a camminare. Lorenzini si stabilirà poi in località «Sella» di Polaveno, prendendo il comando di 25 uomini, tra i quali va ricordato Giuseppe Gheda, che diverrà suo luogotenente. Dopo la disfatta di Croce di Marone (9 novembre 1943), alla quale né il gruppo Lorenzini-Gheda né il gruppo Bonera partecipano, segue un generale sbandamento, con il trasferimento di alcuni gruppi locali superstiti in Valcamonica e il loro assestamento nelle Fiamme verdi.
L’anno seguente, in seguito a un rastrellamento, Faro finisce sulla Corna Blacca con il gruppo di Fiamme verdi comandato da Tita Secchi. Il 13 luglio 1944, dal carcere di Brescia luglio scappano Tito, Gheda, Speziale assieme a tanti altri detenuti politici che trovano rifugio in Valtrompia. Siamo ai primi di agosto e Faro riceve ordine di recarsi al comando delle Fiamme verdi a riferire. Nei pressi della Vaghezza incontra proprio Tito e Gheda, ai quali regala due caricatori:
Insistevano perché restassi con loro, ma ho preferito ritornare con Tita Secchi
Lassù però, il 26 agosto 1944, dopo la strage di Bovegno, si scatena un massiccio rastrellamento nazifascista.
Sono stato fortunato perché proprio quel giorno ero sceso a Bagolino con Davide Pelizzari, nativo di Gardone Valtrompia, e di uno che guidava un mulo bianco. Il paese era però pieno di tedeschi arrivati per il rastrellamento. Incarichiamo quello del mulo di ritornare indietro ad avvisare il gruppo che c’erano i rastrellamenti, ma ormai era tardi. Noi ci siamo salvati nascosti due giorni in un buco mentre quelli lassù li hanno presi tutti. Poi ci siamo trasferiti per due o tre giorni a Sulzano, dove abbiamo comperato calzoncini e canottiera, per sembrare dei vacanzieri. Quindi siamo saliti verso l’osteria “il Cacciatore”, dove abbiamo disarmato del mitra due fascisti della X Mas. Dopo aver smontato i mitra e messo i pezzi nello zaino, ci siamo recati nella stazione di Marone per raggiungere Edolo col treno, destinazione Val Brandet, dove c’era un gruppo di Fiamme verdi. Solamente che a Marone si è fermato un treno pieno di militi della X Mas, ai quali io sono riuscito a sfuggire, raggiungendo Esine a piedi. Davide invece, aiutato dai ferrovieri, è riuscito a prendere il treno del giorno dopo. Così ci siamo rivisti. Ho passato l’inverno in Val Camonica, munito di un tesserino di lavoratore per la Todt. Poi sono venuto via, rifugiandomi a Milano, dove una volta con un gappista abbiamo lanciato dei volantini in un cinema. Infine sono ritornato a Brescia e grazie ad alcune conoscenze e con l’aiuto delle staffette Berta e Tita sono riuscito a raggiungere le montagne del Sonclino insieme ad alcuni altri giovani. Era il mese di gennaio 1945.
Faro partecipa alla creazione della nuova brigata Garibaldi e appoggia Tito quando arriva.
Sul Sonclino Faro è nominato comandante di gruppo di dieci partigiani alla cascina posta sul «Dosso dei 4 comuni».
Non potevamo stare fermi lassù. Io volevo fare un gruppo mobile, che andasse in giro a compiere azioni, ma Tito non ha accettato.
Nella notte tra il 13 e il 14 aprile partecipa al prelevamento dei militari di Botticino, ai quali fa da scorta nel lungo viaggio di rientro alla base. La sera del 17 è lui che, parlando qualche parola di tedesco, si fa aprire il cancello dalle guardie alla fabbrica d’armi Bpd di Cogozzo, da dove viene prelevato diverso materiale bellico e alimentare. Il 19 aprile, finita la battaglia del Sonclino, si rifugia a San Gallo assieme ai fratelli Bardella. Il 24 aprile è davanti alle prigioni di Brescia, senza compiti precisi, per cui ritorna a San Gallo. Nei giorni della liberazione si porta a Gussago, dove il maggiore delle Ss Thaler cercava di resistere,
ma ormai era tutto finito.
Interviste con il partigiano Faro:
Bruno Paiardi, nome di battaglia Faro – Prima parte
Bruno Paiardi, nome di battaglia Faro – Seconda parte
Bruno, partigiano “Faro”: il rugby, la guerra, la Resistenza