Il 1943
Alla destituzione e all’arresto di Mussolini, il 25 luglio, segue un’esplosione spontanea di esultanza: grida festose inneggiano al re, all’Italia, alla repubblica. Si improvvisano cortei e comizi, alla Tempini, alla S. Eustacchio, alla Togni: parlano Medegnini (socialista), Lonati (comunista), Roselli (democristiano) e altri.
Gli operai della OM, armati di scope e raschietti, strappano emblemi, scritte, manifesti fascisti. La questura, allarmata, segnala che “le manifestazioni stanno assumendo carattere sovversivo” e, compiaciuta, che un “corteo con straccio rosso viene subito sciolto dalla forza pubblica”. A parte questi, non si registrano incidenti gravi, nemmeno nei 45 giorni “badogliani” che seguono, nonostante le perplessità e le incertezze.
La guerra continua e gli operai sono tornati in fabbrica.
L’8 settembre l’annuncio dell’Armistizio è accolto con nuove manifestazioni di giubilo e con qualche cautela da parte degli scettici: molti operai non vanno al lavoro e si dirigono spontaneamente alla sede del sindacato, dove il Fronte del Lavoro (in seduta permanente dall’8 al 10 settembre) invita a rimanere “fermi in vigile attesa al posto di lavoro, agli ordini dei capi”. Invano il Fronte chiede alla Prefettura e al gen. Ricciuti di distribuire le armi.
Le truppe tedesche scendono in Valcamonica dal Tonale, in Valsabbia dal Trentino, entrano a Brescia da Est: il 10 hanno già sotto controllo tutti i posti chiave della città, comprese le caserme. Non tutti i soldati riescono a fuggire: 6600 saranno internati nei lager nazisti (1100 non faranno ritorno). La diserzione e la renitenza dilagano: segno di rifiuto della guerra, di desiderio di pace, ma anche di indifferenza e senso di alterità verso il regime fascista e lo Stato che vi si è identificato. I disertori si nascondono o si aggregano nei monti e nelle colline intorno alla città, costituendo i nuclei delle prime formazioni partigiane, spontaneistiche, scoordinate e confuse: nasce così il “Comitato Nazionale per l’Unità, l’Indipendenza e la Libertà d’Italia”, che elabora lo “Statuto dei Patrioti Italiani”.
I bandi minacciano di fucilazione i disertori, chi li nasconde o chi non denuncia dove sono nascosti.
Il coprifuoco viene prolungato (dalle 20 alle 6), si vieta ogni assembramento di più di tre persone, è proibito circolare in auto senza autorizzazione del Comando tedesco, è ridotta a cinque ore l’erogazione del gas. Il giornale fascista, “Il popolo di Brescia”, non può uscire senza il benestare del Comando tedesco e della Prefettura.
L’11 settembre nasce a Bovegno il primo CLN della Valtrompia. Giuseppe Pelosi, a Croce di Marone, organizza un gruppo di sbandati. Il 12 settembre Leonardo Speziale, comunista, rientra dalla Francia per organizzare i Gruppi di Azione Patriottica (GAP), che usciranno allo scoperto in ottobre. Il 13 settembre esce la notizia della rocambolesca liberazione di Mussolini e i dirigenti fascisti confermano la loro disponibilità a collaborare con i nazisti: Bastianon riorganizza la Milizia in Castello, Sorlini il Partito (e si distinguerà per l’accanimento anti ribelli e anti ebrei), Beccherini dell’assistenza dei lavoratori. Alcuni esponenti del mondo cattolico s’incontrano nella canonica di S.Faustino per gettare le fondamenta della Resistenza cattolica: ad Astolfo Lunardi viene affidata la città, a Riccardo Testa la montagna.
Il 14 settembre arriva a Brescia Ferruccio Parri per incontrarsi con il “Comitato d’azione antifascista”, formato dai sei partiti antifascisti: PSI, PCI, DC, PLI, Pd’A, Democrazia del Lavoro.
Il 15 settembre Mussolini, da Monaco, riprende la trasmissione dei “fogli d’ordine”, annunciando di assumere la direzione suprema del nuovo Partito Fascista Repubblicano e reintegrando le cariche destituite dopo il 25 luglio: il Prefetto Leoni e il Podestà Dugnani. Il 17 settembre, a Gussago, si costituisce il Comitato di Liberazione Nazionale bresciano, di cui fanno parte Luigi Ghetti, Ermanno Leonardi, Casimiro Lonati, Giovanni Pizzuto, Luigi Savoldi, Riccardo Testa, Andrea Vasa. Il 20 settembre, a Rino di Sonico, Luigi Romelli costituisce un gruppo di numerosi valligiani. IL 22 settembre i gruppi del monte Guglielmo, guidati da Pelosi e Campani, disarmano la stazione dei carabinieri di Marone. Il 23 settembre Mussolini viene messo da Hitler a capo della Repubblica Sociale Italiana, che a Brescia e a Salò, sotto la protezione dei nazisti, pone la sede dei principali ministeri e degli apparati del potere. Il Prefetto si “rende garante presso il Comando tedesco della disciplina, laboriosità e lealtà del popolo bresciano”. Al bando per la costituzione del nuovo esercito, alla cui testa viene messo Graziani (comunque alla dipendenza dei tedeschi), si presentano 87 mila giovani (classe ’23, ’24, ’25) sui 187 mila obbligati. Più solleciti gli ufficiali (62 mila), anche perché molto ben pagati (dalle 20 mila lire per i generali alle 4 mila per i sottufficiali). Il 29 settembre si riunisce il Comitato esecutivo del PFR, alla cui testa c’è Pavolini, che compila la lista degli antifascisti e degli ebrei da mandare nei campi di concentramento e avvia la formazione delle brigate nere, in funzione antiribelli e col mandato di non fare prigionieri, il cui comando generale avrà sede a Gargnano e a Maderno.
Ottobre 1943
Velivoli tedeschi sorvolano la città e la provincia, lanciando volantini con l’invito ad arruolarsi nella RSI. Nasce la brigata Barnaba di Giustizia e Libertà, il cui campo d’azione prevalente è sul lago d’Iseo. Gruppi partigiani sorgono ovunque: a Polaveno il gruppo Lorenzini, sul colle S. Zeno il gruppo di Ugo Ziliani. Un gruppo si forma a Pezzoro, uno a Bagolino.
Aumentano anche le spie, ben pagate e organizzate capillarmente. Le azioni ribellistiche sono indirizzate all’accompagnamento alla frontiera svizzera degli ex prigionieri e al recupero di armi, come l’attentato gappista alla caserma della Milizia di Spalti S. Marco e l’incursione notturna alla Beretta di Gardone VT, asportando centinaia di mitra e armi leggere. Ermanno Margheriti e i fratelli Gerola realizzano un colpo alla colonia Beretta del Maniva, prelevando armi e materiale da cucina. Settanta partigiani, scesi dal Guglielmo a Tavernole, irrompono nel Consorzio agrario, asportando quintali di formaggio, burro e sale, requisiti dai tedeschi. A Polaveno è catturato e fucilato il cittadino slavo Bondo Cilo. All’ospedale di Brescia muore Giovanni Benini, per le ferite riportate nel rastrellamento di Caino. Eugenio Curiel, matematico ebreo, fondatore del Fronte della Gioventù è nascosto a Bagolino e partecipa ad alcune sedute clandestine nella canonica di S. Faustino. A Cividate Camuno, nella parrocchia di don Comensoli, è ufficialmente istituito il comando delle Fiamme Verdi. La prima riunione si terrà a Brescia il 30 novembre, in casa dell’ing. Mario Piotti.
Novembre 1943
Come reazione all’attentato alla caserma di Spalti S. Marco si verificano arresti importanti: gli avvocati Ferodi, Quaglia e Pivetta, rilasciati dopo dieci giorni. Il colonnello Giuseppe Pagano, invece, in quanto disertore, viene mandato a Mauthausen, dove morirà. L’organizzazione ribellistica si consolida e si amplia, il che induce i nazifascisti a un’azione risolutiva, con l’utilizzo di mortai e aerei da ricognizione: l’inesperienza, l’inferiorità degli armamenti e l’assenza degli uomini del comandante Martini (poi accusato di tradimento e giustiziato), determina la sconfitta nella battaglia di Croce di Marone, dove cadono, oltre a due sudafricani e uno slavo, Giovanni Brena, Firmo Zanotti, Amedeo Drera e Angelo delle Donne.
Ferruccio Sorlini, esonerato dall’incarico di commissario federale del PRF, si mette a disposizione della questura per snidare i ribelli e diventa vice comandante della brigata nera “Tognù”, nonché capo della “banda Sorlini”. Dopo l’attentato alla caserma di via Milano, dove muore un milite, si intensifica la repressione: nella notte del 13 vengono uccisi dai fascisti e abbandonati in piazza Rovetta Arnaldo Dall’Angelo, Guglielmo Perinelli e Rolando Pezzagno. La stessa notte, a Sarezzo (crocevia di Lumezzane), è fucilato l’operaio Luigi Gatta. Il comandante del gruppo di Quarone, Mario Rossi, viene arrestato e torturato. Sarà fucilato a Verona il marzo successivo.
Dicembre 1943
Prosegue l’offensiva contro le formazioni di montagna. A Terzano d’Angolo 5 partigiani sono uccisi: Alessandro Cavalli, Enrico Stefanic, Mario Voltolini e due ex prigionieri russi. I 19 catturati saranno bastonati e scherniti per le strade, buttati su un camion e portati a Brescia. Come rappresaglia per l’uccisione di un milite della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), Luigi Perinelli, arrestato dieci giorni prima, è torturato e fucilato nello stesso posto del milite. A Nave viene ucciso il partigiano Emilio Stefana: il corpo sarà trovato nell’aprile 1944.
I rastrellamenti non hanno sosta (a Gardone, Sarezzo e Tavernole): molti partigiani si disperdono, qualcuno si sposta in Valcamonica. Anche gli arresti: Giuseppe Pelosi e Francesco Cinelli saranno poi fucilati rispettivamente il 29 e il 27 gennaio 1944, a Verona. La notte tra il 30 e il 31 dicembre, in seguito all’uccisione di un caposquadra della GNR, vengono processati e fucilati il giorno dopo 4 partigiani: Ferruccio Lorenzini (il comandante), Giuseppe Bonassoli, René Renault, belga, e Costantinos Jorghu, greco. A Lorenzini, già combattente nella Grande guerra e in Libia, verrà assegnata la medaglia d’argento e intitolata una brigata partigiana.
Gennaio-febbraio 1944
Si susseguono
Umberto Bonsi, Francesco Franchi e Nadir Gambetti (fucilati il 6 gennaio, i corpi gettati nella fossa comune), Astolfo Lunardi ed Ermanno Margheriti (fucilati il 6 febbraio), Giacomo Perlasca e Mario Bettinzoli (catturati dalla banda Sorlini, torturati e fucilati il 24 febbraio), Giulio Gorini. Giulio De Martin, catturato sul monte Spino, condannato a morte con Perlasca e Bettinzoli, avrà commutata la pena in lavoro forzato in un lager nazista. I suoi compagni vengono torturati e dileggiati. Mario Boldini, che si rifiuta di cantare inni fascisti, è obbligato a scavarsi la fossa prima di essere abbattuto dalle raffiche, lasciato agonizzante e insepolto per ore, perché sia d’esempio.
In seguito all’uccisione di un milite fascista da parte di un gappista, per rappresaglia viene fucilato il comunista Francesco Cinelli, organizzatore del movimento partigiano in Valtrompia, tradito da una spia e sottoposto a torture terribili. Vengono arrestati, tra gli altri: Padre Manziana della Pace, l’avvocato Andrea Trebeschi, don Giacomo Vender (organizzatore di un vasto giro di Resistenza femminile e di assistenza ai carcerati con il gruppo delle “Massimille”).
La caccia ai renitenti assume la forma di ricatti e repressioni sempre più violente, coinvolgendo genitori, mogli, parenti. Il prefetto di Brescia emana misure coercitive per i genitori di Gambara e Gottolengo: la chiusura dei servizi pubblici, il sequestro di apparecchi radio, l’arresto di dieci persone a Gambara e altrettante a Gottolengo. Ad Alfianello i genitori dei renitenti vengono trattenuti nel carcere di Verolanuova fino a che i figli non si presentano.
Marzo-aprile 1944
A Brescia si vedono i primi scioperi: il 2 marzo alla OM e alla Breda gli operai si fermano, avanzando richieste di carattere economico (aumento delle razioni alimentari, scarpe, copertoni di biciclette…), ma lo stesso regime ravvisa la valenza politica della prima protesta collettiva dopo vent’anni di tutela del sindacato fascista e di divieto assoluto di iniziative autonome. Infatti il 4 marzo il reparto “motori avio” della OM si ferma ancora per protestare contro l’arresto del compagno Carlo Savio, rilasciato dopo quattro giorni. Ben presto si costituirà il CLN di fabbrica e cominceranno a circolare la stampa clandestina, volantini e opuscoli antifascisti.
Il 5 marzo, interamente dedicato alla morte di Lunardi e Margheriti, esce il primo dei 26 numeri del clandestino Il ribelle, che si richiama al filone sociale del pensiero cattolico, di cui è sostenitore Teresio Olivelli. Vi collaborano, tra gli altri, Laura Bianchini (che sarà deputata alla Costituente), Angio Zane e Dario Morelli, che scriverà la sua resistenza in “La montagna non dorme”. Il 18 marzo viene ucciso il primo comandante dei Gap, Marino Micheli, falciato da un mitra e finito con un colpo di pistola sotto gli occhi del figlio. Il 2 aprile, in un rastrellamento a Berzo Inferiore (Valcamonica), i carabinieri e i militi sorprendono due partigiani, Felice Bellicini e Giovanni Bontempi, in compagnia di amici che suonano la fisarmonica: fucilati sul posto. A Tavernole (Valtrompia), il 3 aprile, come rappresaglia per l’uccisione di un milite a Marcheno, fucilano tre fratelli: Giuseppe, Virgilio e Oliviero Ferraglio. Il 9 aprile, deferito al tribunale nazista per aver cantato “Bandiera rossa” mentre era incorporato in un reparto tedesco, viene fucilato Giuseppe Medaglia di Marmentino, residente a Lumezzane. Il 18 vengono fucilati a Bergamo quattro renitenti di Manerbio e Offlaga, accusati di tradimento: Giovanni Ruggeri, Libero Saldi, Domenico Fagioli e Mario Guido Bonazza. In seguito a segnalazioni sulla presenza di ribelli a Bovegno, il 18 aprile si scatena un rastrellamento che porta all’arresto di cinque persone e all’incendio della cascina di Cecilia Tanghetti. Il 27 aprile Teresio Olivelli è arrestato a Milano e internato a Fossoli, poi in Germania, a Flossenburg e Hersbruck. Il 28 viene arrestato anche Rolando Petrini, suo collaboratore: anche lui a Fossoli, poi a Gusen. Nessuno dei due tornerà.
Maggio 1944
Sempre più numerosi sono i giovani delle classi 1924 e ’25 che disattendono al bando di Graziani e prendono la via della montagna. Il movimento partigiano si espande a macchia d’olio, persino nel “3° settore bis”, comprendente Desenzano, Sirmione, Padenghe e la Valtenesi: zona “calda” per la presenza dei comandi militari della RSI. La zona E comprende Gavardo e dintorni. Poi c’è la pianura, da Chiari a Orzinuovi. La repressione infierisce: in Valsaviore viene ucciso in combattimento Bortolo Belotti, della 54a brigata Garibaldi. Due settimane dopo, durante un rastrellamento della banda Marta, formata da militi della GNR di Milano che saccheggiano e seminano terrore, viene sterminata la famiglia Monella (padre, madre e figlia), ucciso anche Francesco Belotti. Il giorno successivo assassinano il parroco di Zazza di Malonno, don Giovanni Battista Picelli. Ancora a Zazza, la banda uccide un contadino, Giuseppe Gelmi, che vaga terrorizzato nei boschi dopo l’assassinio del parroco. In Valsabbia, a Binzago di Agnosine, viene catturato Tranquillo Bianchi, del CLN di Lumezzane, e fucilato il giorno dopo. A Darfo cade in combattimento il partigiano Francesco Spagnoli.
A Brescia gli operai della S. Eustacchio partecipano compatti a uno sciopero che induce il questore a far occupare la fabbrica dai brigatisti neri. Un centinaio di soldati disertano, riuscendo a fuggire dalla Caserma Papa.
Giugno 1944
Il movimento partigiano registra una grande crescita, si intensificano i sabotaggi e il recupero di armi: il gruppo C 12 di Schivardi si impadronisce di armi e viveri all’Aprica, a Edolo e Mù, a Sonico. Le Fiamme Verdi di Ceto liberano i prigionieri di Breno. In uno scontro con i fascisti viene ferito a morte Antonio Farisè. Sempre le Fiamme Verdi, a Capodiponte, disarmano la GNR e fanno un ricco bottino. Il partigiano Francesco Troletti viene catturato e ucciso a pugni e calci, Giovanni Troncatti viene passato per le armi a Capodiponte dopo un rastrellamento. In una cascina sopra Gianico si fermano a pernottare dei partigiani: a causa della soffiata di una donna (poi giustiziata), vengono sorpresi Giacomo Marioli, ammazzato sul posto, Battista Pedersoli e Antonio Cotti Cottini, prelevati e torturati, prima di essere uccisi. La cascina data alle fiamme.
Una sessantina di partigiani, male equipaggiati, cade in un’imboscata mentre tentano di passare in Valcamonica dalla Valtrompia. Enrico Gazzoli è abbattuto, diciotto sono fatti prigionieri. Lo studente Franco Passerella, figlio diciottenne di Ottorino, membro del CLN, riesce a fuggire ma rimane poi ucciso dalle Fiamme Verdi, che lo scambiano per una spia tedesca. I suoi resti verranno trovati dopo la guerra, per l’instancabile ricerca della sorella Laura, anche lei staffetta partigiana.
In Valcamonica i patrioti fanno attentati ai tralicci, ai pali della luce e del telegrafo. A Cividate Camuno saltano due dinamo della centrale, a Paspardo e Cilimbergo la 54a brigata Garibaldi occupa i paesi e preleva materiali di vario genere. In Val Malga, sul versante bergamasco, si scontra con i fascisti. A Vestone, in Valsabbia, il gruppo delle Pertiche di Toni (Ennio Doregatti), assalta la caserma della GNR e preleva tre militi, poi rilasciati. A Brescia Ambrogio Manenti costituisce ufficialmente il Gap aziendale OM, incorporato nella brigata “X Giornate” delle Fiamme Verdi.
Luglio 1944
Sempre più intenso il movimento partigiano: a Vestone i fascisti arrestano per rappresaglia un centinaio di persone e minacciano di fucilarle. Vengono rilasciate dopo l’intervento delle autorità religiose e civili. Dal 3 al 5, in Valcamonica, dopo uno scontro con la 54a brigata Garibaldi, Cevo viene messa a ferro e fuoco dai repubblichini e dalla banda Marta (151 case distrutte, 48 rovinate, 12 saccheggiate. Restano senza tetto 800 dei 1200 abitanti). Abbattute brutalmente anche sei persone: Giacomo Monella, Domenico Rodella, Francesco Biondi, Cesarino Monella. Giovanni Salvatore Scolari viene legato a una sedia e massacrato a bastonate, lasciato poi esposto a monito, sotto la pioggia battente. Domenico Polonioli, ferito, si suicida per non cadere nelle mani dei fascisti: medaglia d’argento al valor militare. A Corteno, dove “sono partigiani anche i muli”, come dice il parroco Alberto Donina, le brigate nere di Sondrio prendono degli ostaggi, ma il gruppo C 12 cattura dei fascisti e li scambia con i civili sequestrati. Tutto il paese lavora per i suoi ribelli, anche la maestra, Anna Stefanini, che fa produrre ai suoi allievi un giornalino dal titolo “Il piccolo ribelle”. Nel gennaio del 1945 sarà arrestata e tenuta in carcere due mesi. A Bienno si costituisce la brigata “Lorenzini” e due settimane dopo un suo componente, Antonio Lorenzetti, viene catturato e fucilato. All’Aprica il partigiano Attilio Stampa è abbattuto sotto gli occhi dei famigliari. A Iseo viene ucciso il socialista Silvio Bonomelli: fa appena in tempo a staccarsi dal nipotino di tre anni. I suoi due figli, ex ufficiali, collaborano con gli Alleati. Quel che resta della famiglia e la famiglia della nuora, Rosetta Nulli, saranno deportati a Bolzano come ostaggi.
Il 13 Brescia subisce un pesante bombardamento (200 morti, oltre 300 feriti): circa 200 prigionieri politici fuggono dal carcere. Tra loro Speziale e Giuseppe Gheda che, il 28, si ritroveranno sopra Cimmo e, insieme ad altri 40, daranno vita alla nuova 122a Brigata Garibaldi. Ronaldo Amadini, invece, viene abbattuto da una raffica mentre tenta la fuga. Il 13 vi è anche la fermata del lavoro alla OM, la prima di una serie di scioperi che dal 20 al 24 coinvolgono le principali fabbriche di Brescia (MIDA, ATB, S. Eustacchio), con l’adesione anche di impiegati e tecnici. Questa volta le rivendicazioni sono anche politiche: “Né un uomo né una macchina in Germania, fine delle provocazioni e degli interventi polizieschi”.
Il 15 arrivano le disposizione del Corpo Volontari della Libertà (CVL) sul funzionamento dei tribunali partigiani, che vengono istruiti a partire dal 16. Il 17 viene fucilato il partigiano Cesare Minelli, di Leno. Un attacco partigiano alla caserma della GNR di Vestone frutta un bel bottino di armi, munizioni e coperte. A Visano e Isorella i fascisti rastrellano 23 giovani da mandare al lavoro coatto in Germania e mettono in galera altre 19 persone con l’accusa di ascoltare Radio Londra e di collaborare con gli Alleati. A Montichiari dei volantini clandestini invitano i contadini a disperdere i loro prodotti per non consegnarli ai nazifascisti. A Gardone invitano i lavoratori e gli intellettuali a collaborare con i partigiani. Il diciannovenne Antonio Lorenzetti, di Artogne, ferito in un’azione di deragliamento di un treno, viene catturato, torturato e fucilato nella pubblica piazza di Darfo. Davanti al suo comandante, Romolo Ragnoli. Nella zona di Breno cade in uno scontro a fuoco il garibaldino della 122a Paolo Battista Poli. Cade anche Angelo Troletti di Edolo, della 54abis Garibaldi.
Agosto 1944
Si costituisce la brigata Perlasca, che aderisce alle Fiamme Verdi e opera in Valle Sabbia; si rinforza la brigata Tarzan, nell’area di Pontoglio, che opera anche nel Bergamasco; la 54a Garibaldi si riorganizza e recupera armi a Sellero e Pescarzo di Capodiponte. Si susseguono colpi di mano e la reazione nazifascista diventa massiccia e rabbiosa: con l’intento di togliere l’appoggio dei cittadini alla Resistenza, si perpetrano azioni terroristiche contro i civili. La più grave avviene il 15 a Bovegno, con l’incendio di molte case e l’eccidio di 15 persone: il falegname Omodei, Luigi Vecchi, Giovanni Facchini, Gianni Valentini, Ariodante Cofanetti, Giuseppe Gatta, Giuseppe Tanghetti, Giovanni Mazzoli, Araldo Bertola, Maffeo Omodei, Aldo Vezzosi, Gaetano La Paglia, Giovanni Gatta. Tre giorni prima, a Magno, hanno incendiato sette cascine e saccheggiato due abitazioni. Nel corso di un rastrellamento sulla Corna Blacca vengono uccisi Amerigo Bagozzi e Hermann, un tedesco disertore. Tra i catturati c’è Tita Secchi. Il renitente Giacomo Bonassi è fucilato a Sarezzo, sulla porta di casa. In Valcamonica, a Santicolo di Corteno, Antonio Schivardi viene ucciso in uno scontro armato.
A Darfo il gen. Cadorna, comandante del CVL, incontra le Fiamme Verdi camune.
Nel corso dell’ennesimo rastrellamento sui monti di Esine viene fucilato Lorenzo Pina, a Cervino Francesco Spadacini muore in uno scontro a fuoco. Come rappresaglia per l’uccisione di Osvaldo Sebastiani (ex capo della segreteria di Mussolini), a Provaglio d’Iseo i nazifascisti irrompono in chiesa, sequestrano 35 uomini e mettono al muro Enrico Turla, iscritto al PRF. Nella confusione generale scaricano i mitra su un quindicenne che sopraggiunge in bici: Ugo Zabelli. A Capodiponte resta ucciso Giovanni Gaiardelli, della 54a Garibaldi. A Soprazocco lo studente Amerigo Bagozzi viene finito perché non può camminare per la ferita alla gamba. A Montichiari i tedeschi uccidono Angelo Besacchi. In Valtellina, a S. Giacomo di Teglio, cade Bartolomeo Rodondi, del gruppo C 12, a Carona di Teglio cadono le Fiamme Verdi Enrico Bulla e Egidio Natta. In Valsabbia, a Mura, nello scontro tra tedeschi e la brigata Perlasca, cadono tre partigiani: Bruno Bonetti, Mario Giupponi e Bruno Dancelli. Due sono catturati. Case e fienili vengono incendiati. A Bedizzole la GNR arresta il parroco Riccardo Vecchia.
Settembre 1944
Incessante e sempre più feroce la repressione nazifascista, ma sempre attivo il movimento resistenziale: in Valcamonica, a Cividate, cadono Giovanni Bettoni e Giordano Guaraldo. A Pontedilegno le Fiamme Verdi prelevano un grosso bottino di viveri all’albergo Italia, a Bienno catturano i militi della locale GNR e si impadroniscono di materiale vivo. In Valsabbia, a Monte Visone, in uno scontro viene ucciso Mario Pelizzari, della brigata Perlasca, che a Forno d’Ono si scontra anche con i fascisti saliti per reclutare al lavoro coatto. A Mura la 122a Garibaldi si scontra con una colonna fascista. In Valtrompia, a Collio, Gaetano Castiglioni, della Margheriti, viene catturato in un rastrellamento e impiccato. A Cimmo, frazione di Tavernole, viene fucilato il lumezzanese Angelo Ghidini, garibaldino e disertore della RSI. Il diciassettenne Franco Moretti, di Gardone VT, sorpreso dai fascisti, si difende allo spasimo ma viene crivellato di colpi: croce alla memoria. Nel rastrellamento di Pezzeda cadono altri quattro partigiani: Faustino Dalaidi (bronzo alla memoria), Alfredo Negrin, Augusto Vecchi e il russo Vassili (disertore da un reparto tedesco e per questo squartato e trovato con gli intestini intorno al collo). Un quinto partigiano, il messinese Gaetano Castiglione, catturato e malmenato per una notte, non fa i nomi dei compagni e viene impiccato all’entrata di Collio, esposto per 24 ore, a monito, poi seppellito senza cerimonia funebre.
A Livemmo cade Mario Pelizzari, sepolto a Odeno dal Parroco e dalle donne. A Brescia l’operaio Santo Inselvini, catturato, si toglie la vita per non tradire i compagni. A S. Onofrio di Bovezzo viene fucilato il garibaldino Medico Longo, leccese, trovato in possesso di armi. Mario Cominelli, della Lorenzetti, muore per le ferite riportate nello scontro sulla strada Corna-Lovere. A Brescia, nella caserma del 30° Artiglieria, improvvisamente, senza processo, sono fucilati e sepolti in una fossa comune sei partigiani: Paolo Maglia, Pietro Albertini, Luigi Ragazzo, Emilio Bellardini (medaglia di bronzo), Santo La Corte e Tita Secchi (che a Bagolino ha organizzato un forte gruppo partigiano). Luigi Ercoli, della Divisione Tito Speri, viene catturato con Irene Chini Coccoli e Letizia Pedretti: morirà a Mauthausen. Il russo Michele Pankov (fuoruscito dalla Speer) viene giustiziato da un garibaldino di Tito: condannato dai capigruppo per gli atti di brigantaggio e terrorismo nei confronti della popolazione. Nell’operazione perde la vita Francesco Bertussi. A Bagnolo Mella la 122a Garibaldi assalta lo stabilimento della “Italghisa”, sorvegliato dai tedeschi della Speer, per procurarsi armi. Nello scontro cade Giuseppe Serramondi. In Valcamonica, a Braone, cade Valentino Giorgi. A Garda di Sonico muore la Fiamma verde Pietro Frizza, per le ferite riportate durante l’assalto a un treno. Il 27 due partigiani della Lorenzini, Mario Legena e Giuseppe Richini (medaglia d’argento), perdono la vita nello scontro coi tedeschi sulla strada per Borno. Le ingenti perdite tedesche scatenano una violenta rappresaglia: incendio delle cascine, arresto dei contadini. L’intervento dei parroci fa evitare la “legge Kesserling” (dieci italiani per ogni morto tedesco), ma gli uomini vengono portati a Darfo e, i più, nei lager. A Ponte Caffaro, in uno scontro a fuoco, cade Natalino Cosi. Giovanni Tavella, di Lonato, arrestato e torturato, si impicca per la paura di fare i nomi dei compagni. Il 29 al Ponte Barcotto sull’Oglio (Pisogne) cadono Bortolo Macario e Costante Ziliani della Lorenzetti: medaglia di bronzo.
Ottobre 1944
Lionello Levi Sandri parte per l’Italia del Sud al fine di prendere contatti con gli Alleati e sollecitare aiuti per il movimento bresciano. La 122a Garibaldi condanna a morte Arturo e Cecco Vivenzi, per atti di banditismo. In Valcamonica, a Isola di Valsaviore, la 54a Garibaldi cattura il locale presidio della GNR. A Sendini di Cerveno i tedeschi assaltano un deposito d’armi delle Fiamme Verdi: cadono Pio Batocletti e Giovanni Maria Bazzoni. A Breno e Darfo vengono fucilati sette partigiani delle Fiamme Verdi, dopo aver scavato le proprie fosse: Giuseppe Cattane (medaglia d’argento), Antonio Salvetti, Raimondo Albertinelli, Lorenzo Pelamatti, Martino Guarinoni, Andrea e Giuseppe Gelfi. A Valdorizzo, sopra Bagolino, durante un rastrellamento vengono catturati e bruciati vivi otto partigiani della brigata Dante: Dante Scalvini, il comandante, suo fratello Erminio, Placido e Giuseppe Bazzana, Guido Fusi, Vincenzo Giglioli. Due carbonai, che hanno passato la notte nella baita: Giacomo Baga e Paolo Garzoni. Infine Giacinto Rizieri della Perlasca. Nella “settimana di lotta contro le bande”, ordinata da Kesserling, a Darfo viene fucilato Carlo Franzoni, a Edolo Firenzo Tomasi e a Valsaviore Pietro Generani, della 54a Garibaldi. A Cimbergo viene ucciso nel rastrellamento Giacomo Recaldini. Vittorio Domenighini, della Tito Speri, è catturato a Malegno e deportato a Gusen, dove morirà. La staffetta Maria Achilla Morandini, mandata ad avvisare i partigiani del furioso rastrellamento di Bienno, viene catturata, seviziata e abbattuta. Lasciata insepolta e trovata dalla gente del luogo il giorno dopo, crivellata di colpi. A Saviore, il garibaldino Emilio Sola viene torturato, impiccato davanti alla madre e lasciato penzolare dal balcone per due giorni. A Malegno il collaboratore di Ragnoli, Angelo Argilla, caduto nel tranello di un tedesco, viene torturato e deportato in Germania, dove morirà. Sempre nella “settimana di Kesserling” truppe di “Mongoli”, adibiti dai tedeschi ai lavori “sporchi”, setacciano la Valcamonica: a Pezzo di Pontedilegno bruciano le cascine e uccidono sei uomini, dopo averli spogliati degli abiti, delle scarpe e dei portafogli. A Lodrino il contadino Pietro Muffolini viene abbattuto da un tedesco cui tira la giacca perché sta entrando in casa sua. Al passo della Brocca (Lumezzane) una squadra di fascisti massacra due ragazzi, i garibaldini Narciso Ghidini e Fausto Zubani. Falciati perché non vogliono parlare. A Carcina cade il garibaldino Luigi Mattei, a Bienno Giovanni Nodali della Lorenzini: il suo corpo verrà trovato dopo la liberazione. Nel cimitero di Darfo viene trucidato Daniele Spada, della Lorenzini. Giovanni Pirlo, disertore della RSI, viene catturato e fucilato a Caino dalle brigate nere. A Lavino di Pertica Alta viene ucciso il diciassettenne Raffaele Botti, garibaldino, seppellito nottetempo dal parroco. A Schilpario sono catturati, seviziati e fucilati Domenico Giacomini, della brigata Lorenzini e Domenico Ricini, di Malonno. Il garibaldino Mario Donegani, scampato all’eccidio di Piazza Rovetta, viene massacrato e bruciato in una cascina di Mura.
A Brescia si costituisce la VII brigata Matteotti.
Rastrellamenti e scontri con la 122a Garibaldi nella zona collinare di Sella dell’Oca vedono cadere Luigi Zatti e Mario Bernardelli. Alla cascina Fratta, di S. Gallo di Botticino, otto garibaldini vengono sorpresi nel sonno, traditi da una spia.
Tre fuggono (tra cui Gheda, ferito), due si nascondono in una cisterna, tre vengono massacrati: Giuseppe Biondi, Beniamino Cavalli, Francesco Di Prizio. Mentre la famigerata Legione Tagliamento occupa l’Alta Valcamonica, il partigiano ventenne della Lorenzetti, Guerrino Don, è catturato ad Artogne, seviziato e messo al muro. Cade anche il comandante Pietro Martinelli, nell’assalto a una caserma della GNR in Valtellina. Il 30 ottobre, a Capodiponte, l’ennesima vittima dei rastrellamenti: Stefano Angeli.
Novembre-dicembre 1944
L’inverno rigidissimo e il proclama di Alexander producono un periodo di stasi, anche se i rastrellamenti e le azioni poliziesche continuano. Come la guerra dal cielo: il 4, un massiccio bombardamento su Roè Volciano provoca 13 morti, da aggiungersi ai due del giorno precedente.
Un “appunto al Duce” in merito alla situazione dei partigiani nella provincia di Brescia, segnala “l’attivissimo lavoro preparatorio per la formazione di nuove bande”, al cui finanziamento contribuiscono “i soliti ben noti proprietari terrieri di parte cattolica e industriali della valle di Lumezzane”. Il documento non fa il nome del personaggio che tiene le fila del “criminoso lavoro di riorganizzazione”, ancorché noto, affinché non si verifichi un altro “caso Pierino Gerola”, lasciato indisturbato finché si è messo a capo di una banda. Continua affermando che “risulta in modo incontrovertibile che chi tiene in mano le fila del movimento partigiano cattolico, dopo la preziosa cattura di Don Giacomo Vender, è personalmente Mons. Giacinto Tredici Vescovo di Brescia il quale riceve regolarmente rapporti ed emana direttive”.
Le Fiamme Verdi C 11 e C 12 si stanziano sul Mortirolo per tenere efficiente il campo per gli aviolanci. I GAP OM asportano dagli uffici del Servizio Informazioni Militari numerosi documenti relativi alle persone sorvegliate e piani di intervento. Un gruppo di garibaldini della 154a si trasferisce a Brescia per svolgervi attività gappistica. Altri, della 122a, assaltano un’autorimessa tedesca, danneggiando numerosi veicoli. Otto gappisti della OM, comandati da Gilardoni e Manenti, attaccano due autocarri provenienti da Torino e diretti a Merano, quindi in Germania, carichi di macchinari imballati e di altro materiale. Su di essi anche 40 operai destinati al lavoro coatto, scortati da una quindicina di avieri della RSI. Gli operai, liberati, cooperano con i partigiani. Un gruppo di partigiani, comandati da Giuseppe Verginella, fanno saltare un grosso deposito di nafta, dietro la OM. Il comandante della 122a Garibaldi, attirato in una trappola a Camignone, è catturato e torturato a Brescia, insieme e Luigi Romelli (Bigio), vice comandante della 54a. Sarà portato a Lumezzane e abbattuto sulla strada, il 10 gennaio 1945. A Sabbio Chiese, durante un rastrellamento su delazione, è catturato e ucciso il partigiano della Perlasca Giuseppe Vecchia, fratello del curato di Bedizzole. A Collio la polizia nazista uccide Battista Dalaidi, collaboratore del Comando della brigata Margheriti. All’alba del giorno 8, guidati da un fascista locale, rilasciato dai partigiani dopo essere stato catturato, i tedeschi circondano la baita di Baulé, presso Pontedilegno, dove dormono i partigiani della 54a, tornati da una riunione in Valsaviore. Nello scontro muoiono il barese Donato Della Porta, il francese Gorge Martinelli, l’armeno Mirtic Dascetoian, e il russo Miscia. A Provaglio d’Iseo viene eseguita la condanna a morte di Giacomo Rosa, della Lorenzetti, e di Giuseppe Ghitti, della 54a. L’accusa: appartenenza a banda armata ai danni della RSI. Nel cimitero di Sellero è fucilato il partigiano della 54a Carmelo Gabrieli, dopo aver subito terribili sevizie, a Breno, perché parlasse. È invece ucciso dalla bomba che maneggia il sedicenne Paolo Battista Bresciani, di Gottolengo.
Molti partigiani muoiono dopo essere stati deportati nei lager tedeschi: cinque nel solo mese di dicembre: Luigi Pelizzari, Giuseppe Bubbio, Bortolo Salvadori e Amilcare Bordiga, di Bagolino. Francesco Vincenti di Cevo.
Gennaio 1945
Il contraccolpo dell’offensiva americana nelle Ardenne e russa sul fronte bielorusso e ucraino si fa sentire in termini di mobilitazione nazista e repressioni ancora più spietate: Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine, è a Brescia; a Rodengo Saiano arriva un migliaio di SS italiane, con funzioni di “pronto intervento”, agli ordini del tenente Lombardo. Capo di tutte le forze tedesche è il famigerato maggiore Thaler, che si renderà responsabile anche dell’efferato eccidio, il 28 aprile, di 9 patrioti prigionieri a villa Fenaroli: Giuseppe Caravallo di Palermo, Giuseppe Malvezzi di Desenzano, Luigi Andreis di Rodengo, Giovanni Ceretti di Gussago, Carlo Lumini di Rodengo, Pietro Felappi di Cortenova (Bg), Giovanni Pezzotti di Rodengo, Angelo Franchini di Provezze, Enea Tiego di Borgo Polesine. E del segretario comunale, uno dei capi della resistenza locale, Gianbattista Vighenzi. In fuga nei giorni dell’insurrezione, sarà bloccato, portato a Brescia, subito processato e riportato a Rodengo per esservi fucilato.
Il comandante Ragnoli lancia un appello a tutti i partigiani: stringere i denti, perché “la primavera si avvicina e allora sarà resurrezione per noi”. Ennio Doregatti, il comandante Toni della Perlasca, scrive al comandante di Divisione: “Abbiamo un unico scopo, che è poi quello del nostro regolamento e del nostro giuramento: scacciare fascisti e tedeschi. Dopo parleremo di politica”. Da Radio Londra Lionello Levi Sandri fa sapere che la sua missione è compiuta e sta per rientrare in Valcamonica.
Si intensificano anche i bombardamenti alleati: il primo nella storia della Valcamonica accade l’11 e provoca una vittima, a Cedegolo. Più disastrosi saranno quelli nella zona intorno a Salò: il 29, a Gavardo, i morti sono 28, a Mazzano 23. Il bombardamento del 31 alla polveriera di Mompiano causerà 22 vittime.
Le deportazioni non hanno tregua: nei lager tedeschi, in quello di Bolzano o nella Todt di Trento. Alcuni non torneranno: Giacomo Spada di Bagolino (muore il 17 gennaio), Guido Raffa di Sulzano (morirà il 26 marzo), Battista Serioli di Conche (morirà il 29 aprile), Biagio Faita di Conche (morirà il 6 maggio).
L’11 gennaio muore il garibaldino Silvio Giacomelli, di Bovegno, uno dei fondatori del CLN valtriumplino. Il 15 gennaio muore anche, a Hersbruck, Teresio Olivelli, il “ribelle per amore”, una delle figure di spicco della Resistenza bresciana e autore della “Preghiera del ribelle”, distribuita a tutti i partigiani in occasione della Pasqua 1944. Cade facendo scudo a un compagno di prigionia percosso da un aguzzino: medaglia d’oro al valor militare. Il 24, a Gusen, muore l’avvocato Andrea Trebeschi, della X Giornate, dove aveva il ruolo di ispettore organizzativo delle formazioni partigiane. Era stato arrestato il 6 gennaio e sottoposto a incredibili sevizie. Poi ci sono i rastrellamenti e le esecuzioni: a Piancogno Bernardo Ferrari, della Lorenzini, è colpito a morte il 19; il 21, in un’imboscata della GNR nella valle di Lozio, viene catturato Giacomo Cappellini, rinchiuso in castello a Brescia e fucilato. Il tentativo di salvarlo con uno scambio di prigionieri fallisce: è preda troppo preziosa. Nel corso di queste operazioni perdono la vita due del suo gruppo: Battista Fanetti di Sonico ed Erminio Tonini di Arco di Trento.
Febbraio 1945
Mentre a Yalta si discute sulla sorte futura della Germania, si registrano numerose diserzioni tra le truppe germaniche: anche nel Bresciano, a Pezzo di Pontedilegno, arrivano gruppi di tedeschi sbandati. Una sessantina di militari, al Tonale, disertano e si fanno accompagnare al confine svizzero dai partigiani.
I fratelli Bigio e Gianni Savoldi riescono a far evadere dal campo di prigionia di Lumezzane Giancarlo Matteotti, figlio del deputato socialista ucciso nel 1924. Bigio è membro del CLN bresciano e del Fronte del lavoro. Gianni è capogruppo del Fronte della gioventù e diffusore instancabile del ciclostilato clandestino “Giovani” (14 numeri dall’agosto 1944): nelle fabbriche, nelle scuole, nei cinema.
Il ciclostilato clandestino degli intellettuali di sinistra, “Vivi” (9 numeri dal settembre 1944), pubblica in questo mese un proclama per la “Giornata del Patriota”, rivolgendo ai combattenti in montagna, ai GAP e alle SAP, agli internati, ai carcerati, alle madri e alle spose “il pensiero fraterno degli italiani degni di questo nome”. Un messaggio di incoraggiamento, dato che non cessano, anzi, le azioni repressive e le notizie degli antifascisti morti di stenti e sevizie nei lager nazisti: Paolo Perotti, nato a Salò ma residente a Brescia, Angelo Argilla di Darfo, staffetta di Cappellini e attendente di Ragnoli, croce alla memoria anche perché “sottoposto a spietate torture, nulla rivelava che potesse compromettere la causa partigiana”; Giulio Angeli, nato a Macerata ma residente a Brescia; Giovanni Morelli di Salò; Franco Baldoni di Edolo; Silvio Lorenzi, di Trento ma catturato a Serle; Carlo Michelucci di Nave; Bortolo Donati, nato a Vione ma residente a Pontedilegno; Francesco Gazzaroli di Inzino; Italo Laffranchi di Leno.
Poi ci sono sempre i morti in azioni armate o catturati nei rastrellamenti e finiti brutalmente, come Bortolo Bigatti, della Lorenzetti, colpito alla testa e trascinato per il paese perché chiami i partigiani, poi abbandonato in piazza.
La mattina del 7, Emi Rinaldini, comandante di nucleo, viene catturato a Odeno da una pattuglia della GNR, insieme a due compagni e al parroco, don Salice, che li aveva accolti, manifestando la sua simpatia per loro: “…Vedevo che erano animati da un vero ideale; ero quindi molto contento di poter fare qualcosa”. A mezzogiorno del 10, a Belprato, lo portano su un sentiero e gli dicono che può tornare a casa. Fa qualche passo sulla neve, scalzo, poi è raggiunto da una scarica di mitra. Sull’albero vicino, qualcuno inciderà: “Qui uccisero Emi, un angelo della terra”. Sua sorella Giacomina è stata catturata al suo posto e deportata in Germania.
Il 13, paracadutato da un aereo americano, ritorna Lionello Levi Sandri: ha ottenuto dagli alleati la promessa di aviolanci con armi, munizioni e viveri. Con il fratello Luigi è tra i più importanti promotori della Resistenza in Valcamonica. Tornato dai compagni del Mortirolo, ne assumerà il comando in occasione delle due memorabili battaglie. La prima nove giorni dopo, il 22, e durerà fino al 27. I 120 fascisti, armati di tutto punto, tentano invano di espugnare il passo. Quando la battaglia si sposta sul monte Padrio, i partigiani perdono due giovani nati in Francia: Alessandro Danesi e Charles Douard, della brigata Schivardi. Muore anche Giovanni Marconi di Santicolo di Edolo, ferito il giorno prima in località Guspessa. Il 27 cade a Rogno il diciottenne Pietro Pianta, della Lorenzetti, nato a Darfo. Lo studente calabrese Ilario Caserta, residente a Borgosatollo, incarcerato a Brescia e poi rilasciato, viene freddato per strada da militi fascisti.
Il 28, in città, si riesce finalmente a costituire il Comando unico di tutte le formazioni partigiane della zona di Brescia. Comandante: Giuseppe Zani; vice comandanti: Cesare Pradella e Leonida Tedoldi; commissari di guerra: Francesco Brunelli e Pietro Cominardi; capo di stato maggiore: G.C. Flamini. Gli arresti si susseguono numerosi e nuovi bombardamenti si abbattono sul Tonale.
Marzo 1945
La situazione è sempre più tesa e il podestà di Pian di Artogne espone un avviso: “Per ogni legionario della Tagliamento ucciso, verranno passati per le armi 100 cittadini del comune, presi a caso”. A Brescia un nuovo bombardamento, il più grave dopo quello del 13 luglio 1944: i morti sono 80, moltissimi i feriti. Fame e sevizie continuano a mietere le vite dei partigiani deportati in Germania: Giuseppe Lorini di Ospitaletto, Federico Rinaldini di Brescia, fratello di Emi, Mario Pozzi di Zanano, Francesco Patroni di Azzano Mella, Giuseppe Contessa di Marcheno, Giacomo Stagnoli di Bagolino, Mario Pozzi di Zanano, Giovanni Reghenzi di Pianborno. E dei civili: Luigi Paoli e Spartaco Belleri di Sarezzo, Pietro Pozzi di Zanano, morto due settimane prima di suo figlio Mario, partigiano, Francesco Paletti di Mairano, Stefano Caré di Bagolino.
La repressione si inasprisce, soprattutto da parte dei repubblichini, esasperati dal sentirsi sempre più isolati. A Provaglio Valle Sabbia dieci partigiani della Matteotti vengono sorpresi da un rastrellamento: rimasti senza munizioni, nove si arrendono, il decimo, Domenico Signori, si toglie la vita buttandosi da una rupe: medaglia d’argento. Gli altri vengono sospinti da Barghe a Idro tra insulti, sputi e bastonate, sottoposti a un processo burla, poi riportati a Barghe e fucilati. I loro nomi: Alfredo Poli (di Vobarno, croce alla memoria), Ferruccio Vignoni (di Montichiari, croce alla memoria), Arnoldo Bellini (di San Felice), Teodoro Copponi (di Gavardo), Gaetano Resa (di Catania), Angelo Cocca (di Villanuova), Luigi Cocca (di Prandaglio), Pierre Lanoy (di Bruxelles), Amilcare Baronchelli (di Carpendolo, comandante del gruppo).
Mussolini tiene un rapporto agli ufficiali della GNR per dire che la vittoria è vicina e sicura e che la Valle del Po va difesa casa per casa, mentre il servizio politico della GNR segnala la crescente disaffezione della gente, le diserzioni e le renitenze, nonostante gli arresti e l’invio di molti al lavoro coatto nella Todt. E, naturalmente, le esecuzioni dei “banditi”: come quella del garibaldino Francesco Scaletti, di Villa Carcina, fucilato per rappresaglia, dopo l’uccisione di due militi. O la fucilazione di Armando Lottieri, di Bagnolo Mella, da parte di elementi della banda Sorlini. Il suo negozio di tessuti in piazza Duomo era diventato un centro di riferimento per i partigiani. Anche Modestino Guaschino, ex comandante dei carabinieri di Villa Carcina e collaboratore della Resistenza, viene torturato a lungo dalle brigate nere e poi abbandonato cadavere sulla strada. Nei boschi di Berzo inferiore i tedeschi uccidono due partigiani della Lorenzini: Achille Avanzini e Bortolo Revaioli. Al Mortirolo cade, per la bomba che gli esplode nello zaino, Lino Troletti, ex comandante dei carabinieri di Edolo, passato alla Resistenza con tutti i suoi uomini. Marcello Richiedei di Pezzase perisce in uno scontro. Abbattuti invece da fuoco amico, cioè da un bombardamento alleato, muoiono due partigiani di Sonico: Giacomo Bornatici e Giacomo Adamini. Il 23 marzo il gruppo di Carlo Mombelli, ferito e piantonato all’ospedale di Salò in attesa di fucilazione, organizza la liberazione del comandante. Il colpo riesce, ma ci lascia la vita il giovane Ippolito Boschi, “Ferro”, medaglia d’argento.
Anche il clero bresciano, in questo mese, subisce delle formali denunce da parte del questore Candrilli: don Vincenzo D’Acunto e mons. Fossati. Don Vender e don Comensoli sono già stati arrestati, come il parroco di Levrange, don Stoppani e quello di Gussago, don Giuseppe Potieri.
Aprile 1945
Il primo aprile è Pasqua: per i ribelli del Mortirolo arriva un lancio con un notevole quantitativo di armi e munizioni. Il giorno dopo i partigiani fanno saltare la strada che collega la Valtellina con la Valcamonica. Altri due giorni dopo, sempre sul Mortirolo, viene paracadutata una missione, con ingente carico di materiale da destinare al Garda e all’Alto Adige. Intanto l’aviazione alleata fa piovere su Brescia circa 400 bombe che, tra crolli e incendi, provocano 16 morti.
Il 10 scatta l’operazione “mughetto”, che invia 2000 uomini sul Mortirolo, dove 200 partigiani decidono, con Levi Sandri, “resistenza a oltranza”. Cadono prima Mario Gazzoli, poi Giuseppe Algieri, di Cosenza, medaglia d’argento. Il diciassettenne Pierino Corvi rimarrà invalido a vita. Luigi Marniga, della Schivardi, e Gianmaria Togni, della 54aGaribaldi, sono gli ultimi a cadere: il 27 l’operazione “mughetto” fallisce, ma i militi della Tagliamento in ritirata massacrano 12 partigiani bergamaschi, a guerra ormai terminata, e sfogano la loro rabbia finendo a pugnalate i moribondi.
Nel periodo della seconda battaglia del Mortirolo, tra il 10 e il 26 aprile, si contano numerosi morti: Bortolo Corbelli di Cerveno (54a), Ugo Ziliani di Brescia e Maffeo Pè di Pisogne (entrambi della Lorenzetti), Armando Corsi (milanese sfollato a Losine, abbattuto a Malonno).
L’11, nel cimitero di Mù, (Edolo), il militi della Tagliamento fucilano cinque Fiamme Verdi: Vittorio Negri, Giovanni Scilini, Vitale Ghiroldi, Gregorio Canti, Giovanni Venturini, ex combattente sul fronte russo, dove aveva avuto i piedi congelati, per questo non poteva salire in montagna. Catturato il 26 febbraio, è stato sottoposto a orribili e inaudite torture.
All’alba del 19 i nazifascisti scatenano un furioso rastrellamento sul Sonclino, dove sono rifugiati trenta militari e cinque sottufficiali disertori, rifugiatisi nella 122aGaribaldi.
Tre garibaldini perdono la vita durante lo scontro: Battista Zecchini, Giuseppe Aiardi e Giuseppe Gheda (Bruno), il diciannovenne vice comandante, evaso dal carcere dove doveva scontare vent’anni e impegnato nella resistenza con entusiasmo e dedizione. I 16 partigiani catturati, compresi il quindicenne Cesare Pattarini e il sedicenne Angelo Chiminelli, saranno tutti torturati brutalmente e poi fucilati: Battista Zecchini, Giuseppe Aiardi, Carlo Ricotti, Guerrino Bergamini, Ruggero Gridelli, Carlo Antonio Bernardoni, Giuseppe Calamina, Rodolfo Bestetti, Giovanni Gelmini, Nello Castellani, Benito Canossa, Pietro Verucchi, Leopoldo Montanucchi, Angelo De Grada, Gianbattista Sacco.
Il 19 aprile l’OM di Gardone VT entra in sciopero: vi aderisce il 100% degli operai. Il 20, a Marcheno, il contadino Giuseppe Zabeni rimane vittima di un rastrellamento, a Quinzano cade Elia Brognoli, dove è andato con una squadra di uomini a portare aiuto ai patrioti del paese. Il 21 a Ghedi i nazisti uccidono per rappresaglia Mario Botti, della 122a. Il 24 a Sonico muore Natale Masneri della 54a, per lo scoppio di una bomba. Anche i suoi compagni, Vincenzo Massoni e Giuseppe Fanetti, moriranno poco dopo per le ferite riportate.
Mentre l’aeroporto di Desenzano è occupato dai partigiani, a presidio degli impianti, a Pozzolengo, in uno scontro muoiono Lorenzo Marchi e Angelo Gaburri.
Nella notte tra il 24 e il 25 viene trucidato Dante Abbiati, fratello di Gino, già caduto in Valgrande, nell’Ossola. Nei lager tedeschi i partigiani internati continuano a morire: i garibaldini di Marcheno Domenico Contessa e suo fratello Giuseppe, Battista Zanolini di Tavernole e Luigi Zerlotin di Marcheno. I civili: Ulisse Marelli di Lumezzane e Luigi Loda di Concesio.
Mercoledì 25 aprile, all’alba, Lucrezia Girelli, locandiera di piazza Cremona che nutre anche i partigiani, viene falciata dal mitra dei tedeschi, davanti al figlioletto di nove anni. In Valcamonica i partigiani impediscono di far saltare la centrale di Sonico; entrano in azione le Squadre di Azione Patriottica e si mettono agli ingressi dei paesi, in loro difesa.
A Sulzano, con l’intervento del parroco, si arrende la X Mas; il presidio tedesco lascia Calvisano; a Leno i partigiani occupano gli edifici pubblici e disarmano i 300 tedeschi che hanno abbandonato il castello di Gambara; a Quinzano i fascisti si danno alla fuga, disarmati dai partigiani; a Fiesse i tedeschi in fuga uccidono padre e figlio, partigiano di Tita Secchi: Raffaele e Amabile Denti; a Carpendolo i fuggitivi uccidono i patrioti Giuseppe Gerevini e Domenico Ceresera.
A Brescia il GAP OM si prepara alla difesa dello stabilimento, cercando di procurarsi le armi al poligono di tiro. Dieci gappisti, al comando di Manenti, riescono a sequestrare molte armi con cui dotare i 140 uomini a difesa degli impianti OM. Oltre ai partigiani, molti volontari e gli appartenenti al Fronte della gioventù. La rappresaglia dei tedeschi sarà feroce: il custode Boccacci, sua moglie e sua figlia vengono fucilati insieme al diciottenne Franco Omassi, staffetta del GAP OM. E 4 civili: Teresa Gnutti, Aldo Bonincontri, Leonardo Piu, Ugo Zagato.
La sera liberano anche 150 detenuti politici.
Giovedì 26 aprile il CLN di Brescia esce dalla clandestinità e si trasferisce in seduta permanente dalle Orsoline di via Bassiche, dove proclama l’insurrezione generale:
Bresciani! L’ora della liberazione è giunta. L’odiato nemico tedesco-fascista, che da tanto tempo calpesta il nostro suolo e martirizza le nostre popolazioni, è rotta. Una nuova era di libertà democratica si inizia…
A Gardone VT gli operai organizzano la difesa degli impianti industriali contro i tentativi nazifascisti di farli saltare. Scontri in città. Sparatorie ovunque. E tanti, tanti morti nei giorni seguenti, fino a tutto il mese di maggio. E anche oltre. Per le angustie patite nei lager, per le ferite riportate nei mesi e nei giorni precedenti, per gli ultimi rabbiosi colpi di coda degli sconfitti, che si abbattono anche sui civili inermi, per l’ansia di far giustizia e di accelerare la fine, per il rancore e l’odio che lascia dietro di sé ogni guerra, soprattutto quella civile.
E perché accanto ai 5.075 partigiani (di cui 45 donne) che hanno combattuto, accanto ai loro collaboratori e sostenitori, nei giorni dell’insurrezione si sono aggregati molti insorti.
“La libertà costa cara, tanto”.
Venerdì 27 aprile esce il primo numero de “Il giornale di Brescia”, organo ufficiale del CLN. In prima pagina l’annuncio:
BRESCIA È LIBERA.
A cura di Bruna Franceschini.
Bibliografia:
R. Anni, La Resistenza bresciana, Queriniana
G. Dalola, Diario della Resistenza bresciana, GAM
M. Ruzzenenti, Operai contro, ANPI Brescia