Franco Pellacini (1926-2014), di famiglia emiliana, cresce a Brescia dove studia ed entra giovanissimo in fabbrica. Nel 1944, diciottenne, entra nell’organizzazione giovanile clandestina del Partito Comunista Italiano. Inizia con il volantinaggio, le scritte sui muri inneggianti alla lotta, alla sconfitta dei nazifascisti e all’esaltazione del CLN. Arrestato una prima volta per insubordinazione verso i dirigenti della fabbrica, è costretto a scegliere l’arruolamento nell’esercito di Salò. Nel maggio 1944 prende la via della montagna e il nome di battaglia Cecco. Sfuggito di poco a un rastrellamento, nell’estate viene inquadrato nella 122ª Brigata Garibaldi comandata da Giuseppe Verginella. Durante un’azione armata si ferisce gravemente a una mano. Viene nascosto e curato ma, durante la degenza nella casa dei genitori, finisce nelle mani dei militi fascisti che lo cercavano come disertore. Incarcerato e tradotto a Cuneo, verso la fine dell’inverno del ’44 organizza un’evasione di massa e si aggrega alla XXI brigata Giustizia e Libertà. Con G&L partecipa ad alcune azioni armate, fra cui la liberazione di Cuneo, e fa ritorno nella sua Brescia dopo il 25 aprile.
Franco, cosa ricordi di quella giornata?
Avevo sette anni. Frequentavo la seconda elementare (o la terza), alle scuole Camillo Ugoni di Via 20 Settembre, vicino a Piazza Repubblica.
Quel giorno fummo inquadrati e portati in Piazza della Vittoria, dove una volta c’era lo storico quartiere delle Pescherie. Il vecchio quartiere era stato completamente spazzato via e la piazza, in stile littorio, era stata dedicata alla “vittoria” nella guerra del ’15-’18.
Nella nuova piazza era stata collocata questa statua enorme di marmo, destinata all’inizio al Foro Mussolini di Roma, l’attuale Foro Italico, e poi scartata e spedita a Brescia.
Partimmo con gli insegnanti in testa, i gagliardetti fascisti e tutto il resto. La piazza era piena di gente, ma anche di carri armati e di armi.
Negli anni ho visto tantissime altre inaugurazioni, mostre e così via. Ma quello che mi è sempre rimasto impresso di quella giornata è la presenza di armi e macchine da guerra.
La piazza era piena di carri armati, la gente li chiamava Tank, sai quelli piccoli che poi sono stati mandati in Etiopia.
E poi quello che mi colpì anche molto erano i preti che benedivano queste armi. I carri erano così tanti che i preti si erano divisi il lavoro. Saranno stati 6 o 7, ognuno si sceglieva una fila e benediva.
Religiosi che benedivano i carri armati?
Sì! La cosa mi colpì davvero tanto. Quando tornai a casa fu la prima cosa che raccontai ai miei genitori.
Ricordavo la scena e mi chiedevo Ma com’è possibile che i preti benedicano macchine che uccideranno delle persone?
Ho riflettuto molto, anche negli anni seguenti, su questo fatto, e vedere quella scena mi ha profondamente sconvolto, ed ha cambiato per sempre la mia religiosità.
Finita la cerimonia, siamo rientrati in classe. Mi ricordo che la nostra maestra era una fedelissima del regime. Iniziava sempre l’anno scolastico in divisa nera, con un berretto da uomo e un frustino in mano.
Per fare un esempio di com’era vi posso raccontare di quando, una volta, ovviamente ero un bambino, intonai quella canzone che allora cantavano in tanti, sai quella che fa “… la bandiera dei tre colori / è sempre stata la più bella…”.
Quando arrivo al verso che dice “noi vogliamo sempre quella / noi vogliam la libertà”, la maestra mi dà uno schiaffo.
Non uno schiaffo forte, per carità. Un buffetto, uno scappellotto. Ma non era stata contenta. Le aveva dato fastidio quel “libertà”.
In conclusione, cosa pensi dell’intenzione della giunta Paroli di rimettere in piedi il Bigio?
Ovviamente non sono d’accordo. Quel monumento rappresentava l’“Era fascista”. È stato proprio Mussolini a ispirare quel nome.
È proprio quello che rappresenta, che non va bene. Rappresenta ben quattro guerre. Fate il conto…
E rappresenta la libertà che ci è stata negata per due decenni. E non è stato facile riconquistarla nel ’45. La Resistenza è stata dura. Il fascismo ha significato violenza, fame, sofferenze. Tanta gente è morta e ha sofferto per riconquistare la libertà.
Sarei anche d’accordo a toglierlo dal magazzino in cui si trova, ma non deve essere rimesso in piedi. Lo potrei accettare se fosse esposto, ma solo in posizione orizzontale.
Il fascismo è finito, è caduto e non deve più rialzarsi. Neanche in un simbolo come la statua l’“Era fascista”.
Per approfondire:
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Documento dalle Associazioni Partigiane ANPI e FIVL-Fiamme Verdi di Brescia nella seduta congiunta delle commissioni Lavori Pubblici e altre del Comune di Brescia,
20 marzo 2013 -
Comunicato stampa sul flash mob contro la statua “L’era fascista”, 20 marzo 2013
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Delibera della giunta comunale bresciana del settembre 1945
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Delibera della giunta comunale bresciana del dicembre 1945
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Il presidio contro la statua “L’era fascista” di sabato 23 marzo sul TG3 Lombardia
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Pagina dedicata dal nostro sito alla statua “L’era fascista”