Gran Bretagna. La morte di Ray Hill (1939-2022), ex neonazista passato a Searchlight, che negli anni '80 contribuì a disarticolare l'estrema destra britannica
Ray Hill, vera leggenda dell’antifascismo britannico, è morto di tumore sabato 14 maggio 2022
Passato a Searchlight negli anni ’80, continuò a frequentare gli ex camerati disarticolando l’estrema destra, rivelando fra l’altro la rete di protezione dei fascisti italiani a Londra.
Durante un’intervista andata in onda durante la trasmissione Report, su Rai Tre, il 27 aprile 2020 (qui oppure qui), Ray Hill sostenne che “neofascisti italiani potrebbero aver pianificato la strage alla stazione di Bologna e sarebbero poi riusciti a far perdere le loro tracce grazie a una potente organizzazione di matrice nazista britannica che avrebbe fornito loro copertura e rifugio in Inghilterra”. “protezioni di cui avrebbe goduto ancheRoberto Fiore (leader di Forza Nuova) a Londra, dove era fuggito a ottobre dell’80, inseguito da un mandato di cattura per l’attentato alla stazione” (continua qui).
Diversi anni prima, precisamente il 10 marzo 1985, Panorama aveva pubblicato un’intervista allo stesso Raymond Hill, realizzata da Pino Bungiorno ed Enrico Verdecchia, che contiene molti elementi interessanti. Il testo è stato recuperato dal blog di Ugo Maria Tassinari. La foto di una delle pagine (sotto) è stata diffusa nel 2020 su Twitter da Carlo Calvi. La foto di Ray Hill è stata scattata dall’amico e collega a Searchlight Andrew Bell.
TERRORISMO NERO/PARLA L’EX-NEONAZISTA RAY HILL Camerati a Piccadilly di Pino Bungiorno ed Enrico Verdecchia
Possono contare su amicizie sicure e sulla quasi certezza di non essere estradati. Così, per i neofascisti latitanti, la capitale inglese è diventata un covo ideale. Anche per organizzare e dirigere stragi in Italia.
Se Parigi è la capitale preferita dai terroristi rossi, Londra lo è da quelli neri. L’ex-deputato missino Sandro Saccucci (arrestato in Argentina, dove si trasferì nel 1977), il capo storico di Ordine nuovo Clemente Graziani, il terrorista Alessandro Alibrandi (prima di essere ucciso a Roma), sono solo alcuni dei più noti latitanti neofascisti che si sono rifugiati nella metropoli inglese per sfuggire ai mandati di cattura della magistratura italiana.
ll leader indiscusso di questa pattuglia nera è Roberto Fiore, giudicato in contumacia in questi giorni a Roma nel processo contro Terza posizione: è considerato uno degli ideologi del gruppo ed è accusato di aver partecipato all’attentato contro lo studente romano Roberto Ugolini. Secondo il mensile inglese Searchlight, specializzato nelle rivelazioni sulle imprese del terrorismo fascista europeo, Fiore e i suoi camerati non hanno affatto abbandonato la politica attiva.
Negli ultimi mesi sono riusciti a conquistare la supremazia all’interno del Fronte nazionale, il partito inglese d’ispirazione neofascista. Lo stesso mensile ha rivelato che Fiore, alla vigilia della strage di Natale, ha fatto il giro dei giornali londinesi presentandosi come una vittima dei servizi segreti italiani e affermando che correva il pericolo di essere consegnato ai giudici italiani. Una mossa per precostituirsi un alibi? Forse Fiore sapeva qualcosa dei progetti di strage nella galleria di San Benedetto Val di Sambro? Dopo le rivelazioni di Searchlight, la procura di Bologna ha chiesto a Scotland Yard di interrogare Fiore e anche gli altri sette latitanti italiani.
Ma come mai i neofascisti italiani e la stessa Internazionale nera hanno scelto proprio Londra come loro rifugio ideale? Panorama lo ha chiesto a Ray Hill, conosciuto come uno dei più noti leader del neonazismo inglese fino a quando, alcuni mesi fa, non ha deciso lui stesso di uscire allo scoperto rivelando la sua attività: per cinque anni è stato il «gola profonda» del mensile Searchlight al quale ha anticipato progetti, complotti, collegamenti e protezioni dell’Internazionale neofascista e addirittura i piani per una strage da realizzare in Inghilterra sul modello di quella alla stazione di Bologna dell’agosto 1980 (80 morti) e quella alla Oktoberfest di Monaco (13 morti).
È stato poi il giornale antifascista londinese, sulla base delle soffiate di Hill, a mettere Scotland Yard sulle tracce degli organizzatori di questo nuovo progetto criminale di matrice nera, sventato in tempo dalla polizia.
Domanda. Quando è entrato in contatto per la prima volta con neofascisti italiani?
Risposta. È stato in Sud Africa. Allora ero il capo del Fronte nazionale sudafricano. Un giorno conobbi un italiano, Max Bollo, lavorava all’Olivetti ed era il leader di un gruppo di fuoriusciti italiani che pubblicavano un giornaletto a Johannesburg, “Noi Europa”. Max Bollo è poi finito in carcere per aver commesso una serie di attentati. Oltre a Bollo ho incontrato altri italiani: venivano in Sud Africa e poi finivano in Rhodesia.
D. Ha mai conosciuto Stefano Delle Chiaie?
R.No, ma ne ho sentito parlare da Bollo come un nuovo Mussolini per la destra italiana. Bollo mi disse che voleva far rifugiare Delle Chiaie in Sud Africa. Poi però, dopo l’arresto di Bollo, il progetto sfumò così come quello di portare a Johannesburg la vedova di Mussolini, donna Rachele.
D. Cosa facevano questi italiani?
R. Molti erano mercenari e avevano combattuto in Angola. Io li persi di vista nel 1979 quando tornai a Londra ma non passarono tre settimane che fui contattato da un altro italiano.
«Si presentò come Enrico Tomaselli (dirigente di Terza posizione-Settembre, arrestato nel settembre 1982 assieme al pluriomicida Walter Sordi, ndr). Tomaselli lavorava nella stessa azienda di Max Bollo, aveva avuto da lui il mio nome e telefono e voleva incontrarmi
D. Perché?
R. Mi chiese di procurare alcuni appartamenti sicuri per neofascisti italiani in fuga.
D. Quanti?
R. Una dozzina.
D. Quando questo incontro?
R. Due mesi prima della strage di Bologna dell’agosto 1980.
D. Tomaselli gliene parlò in anticipo?
R. No. Mi disse solo che qualcosa stava per succedere in Italia. Non disse precisamente che cosa. Per questo occorrevano i rifugi londinesi. Ho poi presentato Tomaselli ad alcuni esponenti della Lega di Saint Georges. Furono loro a occuparsi di trovare le case sicure.
D. È questa Lega l’organizzazione che si occupa di nascondere i neri?
R. Si, lo fa da diversi anni, molti suoi membri sono facoltosi e procurano anche lavoro ai rifugiati in pizzerie, ristoranti e agenzie di viaggio. Certamente l’Inghilterra è oggi il posto migliore in Europa dove neofascisti e neonazisti di qualsiasi Paese possono trovare scampo. Qui l’estradizione è veramente difficile. Un altro posto ideale è il Sud Africa.
D. Ha mai incontrato qualcuno dei latitanti italiani?
R . Un paio, una volta, durante una riunione della Lega. Mi ricordo che uno dei due si chiamava Alibrandi, quello che poi è stato ucciso a Roma. Mi pare che sia stato lui a ringraziare la Lega per l’ospitalità concessa agli italiani. In effetti, tra i fascisti inglesi c’è molta ammirazione per i camerati italiani: li giudicano decisi, sempre pronti all’«azione diretta».
Ricordo un episodio. Uno dei capi della Lega, Mike Griffin, che si occupa di pizzerie, ha ospitato a lungo due italiani che appartenevano ai NAR. Mi disse che, come ringraziamento per l’ospitalità, prima di andarsene altrove, gli italiani avevano incendiato una libreria di sinistra nella parte orientale di Londra. Di questo episodio si è parlato a lungo nei «pub» londinesi frequentati dai fascisti: qualcuno arrivò a definire eroi quei due.
D. Nessuno le ha mai parlato di chi ha organizzato il massacro alla stazione di Bologna dell’agosto 1980?
R. Non in Inghilterra. A Londra sapevamo solo che quegli italiani erano ricercati per via della strage.
D. Dove ha avuto notizie su quel massacro?
R In Francia, a Parigi. Era l’aprile del 1981 e festeggiavamo in un ristorante elegante l’anniversario della nascita di Hitler. C’erano una trentina di persone, un paio di italiani, alcuni tedeschi, qualche fascista vietnamita.
D. Chi erano gli italiani?
R. Non ricordo i nomi.
D. Ricorda almeno l’organizzazione alla quale appartenevano?
R. Sì, i NAR. Ricordo che uno dei due era alto snello, con i capelli biondi sembrava un tedesco.
D. Da chi era organizzata la celebrazione?
R. Dalla Fane, l’organizzazione neofascista francese, una delle più efficienti, violente e ben armate in Europa. In quel ristorante c’era anche il loro capo, Mark Fredriksen. Ed era presente l’ex ministro del governo di Vichy, Charles Perrit. Fu in quella occasione che mi fu proposta l’idea di organizzare anche in Inghilterra una strage simile a quella di Bologna e a quella di Monaco dell’Oktoberfest.
D. Chi le fece questa proposta?
R. Un francese di cui non sono mai riuscito a sapere il nome. Aveva 50 anni, robusto, capelli neri, gli mancava un dito e diceva di lavorare per una industria di esplosivi. Fu lui a dirmi che la bomba da utilizzare in Inghilterra doveva essere come quella di Bologna. Mi propose: possiamo darvi duecento, anche trecento libbre di nitroglicerina, i detonatori, i «timer». La strage, organizzata tecnicamente da un certo Tony Malski, doveva essere fatta in agosto, a Londra, al Notting Hill Carnival, il giorno della festa del Bank Holiday. Il metodo d’azione doveva essere simile a quello usato a Monaco.
D.E cioè.
R. Colui che piazzava la bomba doveva saltare in aria, senza che lo sapesse naturalmente, in modo di cucirgli definitivamente la bocca.
D. Gli italiani parlarono?
R. No, non contraddissero mai il mio interlocutore.
D. Si parlò di collaborazione italo-francese per la strage di Bologna?
R. Sì, mi dissero che la Fane aveva cooperato sia alla strage di Bologna sia a quella di Monaco. Tutti sapevano in quella riunione degli attentati e tutti sapevano che erano operazioni congiunte. Se volete la mia opinione, ma è solo un’opinione non suffragata da prove, penso che la bomba di Bologna sia stata piazzata da qualcuno che non era italiano, magari un francese pagato per l’occasione.
D. Ha mai conosciuto il poliziotto francese Paul Durand, membro della Fane, venuto in Italia alla vigilia della strage di Bologna?
R. No, ma ho sentito parlare di lui: aveva avuto delle grane ed era stato cacciato dalla polizia.
D. Che idea si è fatta dell’Internazionale nera?
R. Prima di tutto che non esiste un unico cervello che dirige le varie organizzazioni nazionali. Esiste invece un’ampia collaborazione e un’assistenza tecnica fra tutti i gruppi. Ci sono incontri e riunioni ad alto livello proprio per rendere più efficiente questi rapporti internazionali. Ma ogni organizzazione è gelosa della propria autonomia.
Infine, poco dopo la messa in onda della puntata di Report, nel 2020, Alfio Bernabei della Sezione ANPI di Londra ha pubblicato un lungo thread in inglese che potete trovare qui.