Il 17 marzo 2017 avrebbe compiuto novant’anni, vissuti da “ragazza del secolo scorso”, direbbe Rossana Rossanda, sballottata su e giù per lo stivale, come piuma che ubbidisce al vento.
Ha meno di un anno quando, con mamma Antonia e suo fratello Franco, raggiunge papà Gino a Lipari, dove nasce il piccolo Loris. E dove sono confinati anche Parri, Rosselli, Lussu. Dopo cinque anni di “castigo” la famiglia (“indesiderata” a Brescia) si trasferisce a Milano. Una mattina irrompono i militi dell’Ovra, cercano “la valigetta della carta”, non la trovano, così trascinano mamma Antonia a San Vittore, dove c’è già anche papà Gino. I ragazzini, rimasti soli, si affannano a bruciare i documenti (nascosti dietro la testiera del letto), facendo così mancare le prove per il deferimento al tribunale Speciale.
Non riescono però a evitare la condanna ad altri cinque anni di confino, a Ponza. L’isola è una concentrazione di politici “pericolosi”: da Umberto Terracini a Camilla Ravera, da Altiero Spinelli a Sandro Pertini. Dolores frequenta le elementari con i residenti, ma anche la scuola di grandi maestri, fior di intellettuali, cui è vietato entrare in casa, perciò stanno fuori, su una sedia, mentre lei è dentro, con la porta aperta. È diligente e scrupolosa, riempie due quaderni di preziosi appunti. Quando l’isola diventa zona di guerra, gli Abbiati sono trasferiti alle Tremiti. Qui la mazzetta viene ridotta da dieci a cinque lire per i genitori, niente per i figli. È fame nera.
Dolores raggiunge allora nonna Melania a Intra, dove lavora come commessa nella panetteria di zia Olga. Dopo l’8 settembre diventa la partigiana “Lola”: ha quasi sedici anni. Rifornisce i combattenti di cibo, chiodi, medicinali, vestiario, munizioni. Tiene i contatti tra le formazioni. Accompagna “su” i renitenti, che aspettano nella trattoria designata una ragazza con una sciarpa cappuccio e la seguono a una certa distanza. Il pane e la farina sono razionati, ci vuole la tessera. Per riuscire a mettere da parte quanto serve al sostentamento dei partigiani, Dolores inventa un piccolo imbroglio: prima di consegnarli all’ufficio Annona, infila nella busta i cartellini accartocciati, così da farli sembrare il doppio. Per un po’ tutto fila liscio, ma un giorno la chiamano: lei si mostra affranta e si scusa, dandosi della pasticciona. La funzionaria finge di mangiare la foglia e insabbia tutto. Dolores, sollevata, si ripropone di mandarle dei fiori, ma poi se ne dimentica.
A fine gennaio 1945 è arrestata e messa a confronto con una che ha fatto il suo nome. Lei nega tutto, l’ha imparato da suo padre. Il capitano grida, impreca, le molla anche un po’ di ceffoni. Minacciano di fucilarla: Cavolo, mi dispiaceva da morire – ricorderà – ecco, io ho avuto paura, ho avuto paura, però la mia preoccupazione era di non dimostrarglielo. La trattengono un paio di settimane e poi la mandano in carcere a Pallanza. La zia protesta all’autorità: hanno rinchiuso una minorenne e senza capi d’accusa. Così può andare a Milano per partecipare alla grande manifestazione della Liberazione.
Gli anni del dopoguerra assistono a rigurgiti fascisti e a una dura repressione operaia: i suoi fratelli sono stati licenziati dalla fabbrica, anche per questo lei accetta di riattraversare l’Italia e lavorare nel sindacato delle tabacchine, in Puglia. Viene eletta alle comunali di Trepuzzi e diventa assessore. Successivamente in Parlamento, in commissione lavoro per lo statuto dei diritti, battendosi per il divorzio e l’aborto. Denunciando che a Brescia i padroni stanno assumendo operai raccomandati dalla Cisnal, mentre il MSI, con una circolare, invita i camerati a “tenersi pronti per ogni evenienza”. Quattro mesi dopo la strage di piazza Loggia.
Finiti i mandati parlamentari, torna nella città natale, sempre in trincea, battendosi contro la corruzione e il malaffare all’Ospedale Civile, contro la Caffaro, fabbrica di morte per PCB. Termina gli anni della “vita activa” nell’ANPI: va nelle scuole a parlare con brio e fuoco, ma anche con pazienza. Racconta di uomini che hanno fatto della montagna la loro caserma, di donne che non si sono fatte intimidire dai bandi e li hanno nascosti, nutriti, curati. Fiera portatrice di ideali laici, vuole fare uscire le donne dall’ombra dell’oblio, difendere gli uomini dai subdoli attacchi denigratori del revisionismo.
(Bruna Franceschini)
Torna al Menu principale — Fai clic qui