L’orazione del pomeriggio tenuta da Marco Castelli di NuovaResistenza Brescia in occasione dell’omaggio ai caduti della OM Iveco di Brescia.
Care lavoratrici e lavoratori dell’IVECO,
devo confessare una certa emozione nell’intervenire davanti a voi in questa occasione; e certamente l’emozione è accresciuta anche dal fatto di dover parlare da giovane in nome dell’associazione che rappresenta chi ha combattuto la guerra di Liberazione, e cioè l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Una scelta, quella dell’ANPI di coinvolgere i giovani nelle celebrazioni e nella vita dell’associazione, che vuole incarnare il senso della continuità del messaggio della Resistenza anche oltre i limiti della generazione che ha vissuto direttamente l’oppressione nazifascista, provando a tradurre i valori che hanno guidato la Resistenza partigiana nelle sfide dell’oggi. D’altronde è la Resistenza la radice di tutte le libertà riconquistate dopo vent’anni di dittatura e delle conquiste nuove, come quei diritti di libertà, che hanno portato prima ad una Costituzione di una Repubblica “fondata sul lavoro”, e poi a portare la Costituzione dentro i cancelli delle fabbriche ed a definire i diritti che si chiamano diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione, alla casa, alla pensione, a un’equa distribuzione. Sono diritti che per trovare soddisfazione hanno richiesto e richiederanno altre lotte, ma lotte democratiche che si possono realizzare senza il pericolo di nuova oppressione e di deportazioni perché non c’è più la dittatura a sopprimere ogni espressione del libero pensiero. Ci è stato dato quindi, soprattutto un nuovo diritto: il diritto di opposizione. Possibilità quindi di reclamare pacificamente gli altri diritti, spesso, ad ora, rimasti solo sulla carta.
Siamo sicuramente in un momento difficile per la storia socio-economica del nostro paese. Nonostante ci venga detto di anno in anno che la crisi è ormai alla fine, vediamo i dati sulla disoccupazione crescere di mese in mese. E più pericolosamente sentiamo sulla nostra pelle questi dati, li vediamo parlando con i nostri amici e parenti alla ricerca di lavoro, li vediamo nelle serrande abbassate dei negozi falliti, li vediamo periodicamente sotto la Loggia grazie all’attenzione costante, importante e coraggiosa dei lavoratori MAC, che giustamente non accettano di essere lasciati soli, abbandonati, licenziati, da una fabbrica e, vista la mobilità del mercato del lavoro, da un paese. Ed è quindi importante ricordarlo questo 25 aprile che in molti non vorrebbero più nemmeno festeggiare come festa nazionale. Ci hanno provato per ultimi Monti e Berlusconi a togliere i festeggiamenti per la Festa della Liberazione. L’idea sembra fu inizialmente di Licio Gelli, nel suo “Piano di rinascita democratica”, ma questa è tutt’un’altra storia. Si vuole togliere il 25 aprile perché l’economia di mercato ha le sue regole, chiede meno feste e più lavoro, meglio se con stipendi più bassi. E quindi è dissonante rispetto a questi mantra economicisti, una festa nazionale dove si ricorda, come diceva Padre Giulio Bevilacqua, che “Le idee valgono per quello che costano, non per quello che rendono”. Insomma dove si parla di ricerca, di cultura, di vita, non del guadagno, che sembra essere diventato l’unica bussola di questi tempi moderni.
Vorrei ricordare oggi in particolare gli scioperi che nel 1944, esattamente settant’anni fa, segnarono profondamente il clima della guerra in Alta Italia, dimostrando l’incapacità della repubblica di Salò di gestire la crescente opposizione interna al regime. Mi piace partire allo slogan che più di ogni altro è stato caratteristico di quei giorni, e cioè “Pane, pace e libertà!” Tre parole simbolo della Resistenza e che possono ancora guidare le lotte dell’oggi. La prima parola, pane, si richiama alle drammatiche condizioni di lavoro cui la crisi economica del 1929 prima, e la politica economica fascista poi, avevano ridotto la classe operaia. Orari di lavoro che toccavano spesso le 12 ore al giorno per 6 giorni alla settimana; un sistema del cottimo con un minimo obbligatorio di fatto impossibile da raggiungere; licenziamenti per chi protestava e rigida disciplina; salari che dal 1938 al 1943 aumentano mediamente del 10% a fronte di un aumento dei prezzi di circa 6 volte nel mercato ufficiale, ed ancora di più sul mercato nero, al quale però era necessario rivolgersi per acquistare alcuni alimenti altrimenti introvabili come l’olio. Persino nei rapporti dei carabinieri della Legione di Brescia, si potevano leggere alcuni riferimenti preoccupati a questa situazione in cui gli stipendi si rivelavano inadeguati al costo della vita, rendendo il prezzo della vita chiaramente insostenibile. E la risposta a questa situazione fu lo sciopero. La riscoperta di quello strumento che, se oggi è un diritto sancito nell’articolo 40 dalla nostra Carta Costituzionale, allora era un reato sanzionato penalmente da quasi vent’anni. Ed è importante il dato dei vent’anni di assenza di questo diritto, perché, come ricorda Pietro Secchia, “la grande maggioranza dei giovani combattenti nelle formazioni, allo stesso modo di quelli che lavoravano nelle fabbriche, conoscevano per la prima volta il valore di questa arma potente: lo sciopero generale; conoscevano per la prima volta la grande forza dell’unità di classe operaia”. “Uomini e donne che il fascismo credeva di aver ridotto ad un branco di idioti affermavano così la loro volontà di pace e il loro diritto alla vita” sottolineano anche altri storici. Ed allora in questo piazzale facevano la guardia le SS tedesche con i mitra spianati, pronte a reprimere col sangue qualsiasi accenno d’insurrezione. Ed allora l’OM e le Fabbriche di Gardone Valtrompia producevano armi per i nazisti e per i fascisti. Ed allora Brescia doveva essere, nei progetti di Mussolini, il cuore del risorto regime della Repubblica Sociale Italiana. Scioperare a Brescia aveva un significato speciale ed una difficoltà altrettanto speciale. Esserci riusciti fa onore a questa città ed a questa fabbrica, che fin dai primi giorni successivi la caduta di Mussolini del 25 luglio 1943, si distinse per impegno nella difficile testimonianza dell’opposizione al regime.
Le manifestazioni a Brescia iniziarono il pomeriggio del 26 luglio del 1943, quando, mentre alcuni operai rimanevano nella fabbrica astenendosi comunque dal lavoro, circa duecento lavoratori dell’OM sfilarono in corteo fino a piazza Garibaldi con bandiere tricolori. Durante il percorso il corteo si era ingrossato, e qualcuno aveva issato un piccolo straccetto rosso su un bastone, a mo’ di bandiera. Si riuscì anche a tenere un breve comizio alla Pallata, prima che il corteo venisse disperso dai Carabinieri, costringendo però il Questore a comunicare ai superiori che “le manifestazioni stanno assumendo carattere spiccatamente sovversivo.” Nonostante due arresti ed alcuni feriti, già il 29 luglio i rappresentanti dei partiti antifascisti si incontravano con il prefetto per cominciare a cambiare la rigida struttura corporativa che avrebbe dovuto essere il sindacato fascista, ottenendo che due membri del Fronte del Lavoro venissero nominati commissari della Confederazione dei sindacati fascisti. L’OM scioperò ancora contro la guerra ed il fascismo all’indomani dell’8 settembre, prima che le truppe tedesche, aiutate dalle milizie di Salò, riprendessero in mano la situazione in città. Si arrivò così al grande sciopero del 2 marzo 1944, che coinvolse gli stabilimenti Breda e OM, con una piattaforma insieme sindacale e politica: aumento dei beni razionati e della quantità di grassi, mensa migliore, cuoio per le scarpe e copertoni per le bici; elezione di rappresentanti dei lavoratori e liberazione degli arrestati. Dopo il successo di questo sciopero ne seguirono a cascata altri per motivi analoghi in molte fabbriche bresciane; intanto dentro l’OM nacquero i combattivi gruppi di resistenza dei GAP e dei SAP, che si occuparono di acquisire, grazie a rocambolesche azioni, armi ed alimenti per i resistenti, nonché di tenere alto il morale dei compagni di lavoro dipingendo di nascosto scritte sui muri della fabbrica contro il fascismo e a favore della Resistenza.
Il 20 luglio del 1944 gli operai OM scioperarono nuovamente…
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