Forconi, le rivendicazioni della protesta: una piattaforma variabile
Le motivazioni originarie degli autotrasportatori – abbassare le accise sul carburante, migliorare le strade del paese e le condizioni di lavoro – si sono allargate. Al movimento si sono uniti tassisti, commercianti, ambulanti, precari. Ora in molti chiedono la fine dell’esecutivo Letta. L’ala estrema addirittura un governo dei carabinieri
di CORRADO ZUNINO
Oggi, a fronte di manifestazioni di scarso successo in Sicilia, il movimento 9 dicembre è esploso nel resto d’Italia, sia in provincia che nelle grandi città. E alle due categorie di base si sono aggiunti e sono diventati trainanti i ceti medi urbani costretti a scendere in piazza per difendere le loro vite: i piccoli commercianti e gli ambulanti di Torino, i tassisti di Roma, i titolari di bar e ristoranti di Genova. Via via, la protesta ha trovato consenso nel mondo giovanile e precario, tra i disoccupati adulti.
La prima intenzione del movimento è in fotocopia ai diktat dei grillini (ma Beppe Grillo non ha mai ricevuto i leader dei Forconi): tutti a casa. Il governo in carica si deve dimettere. L’ala più destra – Danilo Calvani leader degli agricoltori della provincia di Latina – arriva a immaginare la sostituzione dell’esecutivo Letta con un governo temporaneo dei carabinieri. La caduta del vecchio regime deve essere il prodromo all’uscita dall’euro: “Questa moneta ci strangola, i fiscal compact ci stanno uccidendo”. Anche qui, come se parlasse Grillo. L’ala rurale – Comitati riuniti agricoli dell’Agro Pontino, Azione rurale Veneto, Comitato spontaneo produttori agricoli (eredi dei Cobas del latte) – chiede di uscire dall’Europa per tornare a far sovvenzionare l’agricoltura dal governo italiano, vuole vendere i prodotti senza quote.
Tutti gli insorti chiedono tagli alle tasse non ai servizi. Gli ambulanti di Torino (vendono ortofrutta ai mercati rionali) sono strozzati dai costi delle licenze e dalle bollette sulla spazzatura, insostenibili rispetto al giro di affari. Gli edicolanti – negli ultimi anni a Genova una rivendita ogni tre è stata chiusa – chiedono interventi specifici per sostenere il settore sottraendolo al controllo asfissiante dei distributori. Tutti i commercianti chiedono che sul territorio non nascano più nuovi centri commerciali. In Lombardia, regno degli iper oltre i 4.500 metri quadrati. In Veneto, dove la soglia critica indicata dall’Unione europea – 150 metri quadri ogni 1000 abitanti – è stata ampiamente superata.
In questa vorticosa richiesta di restituzione di ricchezza e lavoro e serenità si sono inserite le azioni di chi vuole il caos per il caos (gli ultras), la rivoluzione di popolo (Casapound, Forza Nuova, il Movimento sociale europeo) o la rivoluzione delle masse sfruttate (i centri sociali torinesi, il centro sociale Il cantiere di Milano, il Movimento popolare di liberazione). O di chi si accontenterebbe di non finire in strada domani: il comitato inquilini di San Siro.