Pubblichiamo di seguito il testo del discorso del presidente provinciale dell’ANPI Giulio Ghidotti a Bovegno, accompagnato da alcune foto della giornata.
“Buon giorno e Buon Ferragosto a tutte e a tutti !
Grazie della vostra presenza qui, oggi.
Cittadine e Cittadini,
Signor Sindaco di Bovegno
e Signori Sindaci dei Comuni della Valtrompia,
Signori esponenti delle forze politiche e della Comunità Montana,
Signori rappresentanti delle Associazioni,
delle Fiamme Verdi provinciali e delle sezioni ANPI
Le ragioni che ci spingono ad essere presenti a questa commemorazione sono quelle richiamate efficacemente dalla motivazione che nel 2005 ha accompagnato l’attribuzione a Bovegno della Medaglia di Bronzo al Merito civile, da parte del Presidente della Repubblica.
«Centro strenuamente impegnato nella lotta di liberazione subiva rappresaglia nazifascista che provocava la morte di quindici cittadini innocenti e l’incendio di numerose abitazioni. Nobile esempio di spirito di sacrificio ed amor patrio.»
Allora siamo qui stamattina anzitutto per esprimere, anche dopo tanti anni, il nostro sentito e autentico omaggio, la nostra vicinanza alle vittime, alle loro famiglie e ai loro parenti, ai sopravvissuti, e all’intera comunità di Bovegno per l’oltraggio da loro subito a ferragosto del ’44 dall’azione brutale di nazisti e di fascisti.
Ma siamo qui inoltre per esprimere il nostro sdegno di democratici e antifascisti per l’ulteriore offesa prodotta negli anni ’80, dall’occultamento del fascicolo giudiziario sui responsabili di questo eccidio come di altri eccidi nazifascisti in Italia, nel cosiddetto “armadio della vergogna”, in quella sorta di sorta di “baratto delle colpe” stabilito nel clima della guerra fredda, tra Italia e Germania al fine cancellare da una parte le responsabilità tedesche dei massacri in Italia e dall’altra quella dei criminali di guerra italiani, come Graziani, nei Balcani, in Etiopia e nelle zone di occupazione fascista.
Sdegno, il nostro, ancor più accentuato dal permanere ai nostri giorni dal permanere delle difficoltà a riconoscere da parte della Germania il giusto risarcimento alle famiglie delle vittime delle stragi naziste in Italia.
Una ferita umana e politica, quindi, ancora aperta e dolorosa per molti, quella inferta dal più grave eccidio di civili di tutto il periodo della Resistenza nel bresciano perpetrato tra il 15 ed il 16 agosto 1944 di cui furono vittime le persone i cui nomi sono stati ricordati poc’anzi.
Uomini, maschi, di ogni età ed estrazione sociale, colpiti indipendentemente da ogni loro provenienza ed orientamento politico, persone segnate dalla sventura di trovarsi, non volendolo, nel cuore di quel rastrellamento a Bovegno, nella sera di quel ferragosto.
In quell’estate, quasi ad un anno dalla “baraonda” iniziata l’ otto settembre ’43, proprio quando, anche in Val Trompia i ribelli, i banditi, gli sbandati della prima ora, a cui si erano aggiunti coloro che sfuggivano ai bandi della RSI, stavano vivendo quella fase che gli storici oggi definiscono di passaggio problematico tra l’essere “renitenti e ribelli” ad essere “resistenti”, “partigiani” inquadrati nel CVL, grazie al lavoro organizzativo di CLN locali e regionali, di commissari politici e inviati militari mandati “da fuori” per strutturare quelle che fino allora erano state soprattutto “bande” spontanee.
Del resto proprio in questo centro dell’alta Valle si era costituito fin dal 13 settembre 1943 il primo CLN locale del bresciano segno che fin da allora questa zona era in un certo senso “praticabile” da parte di ribelli e patrioti, a tal punto che da fine giugno ’44 a nord di Gardone il territorio della Valle era virtualmente libero.
La maggior parte di voi conosce sicuramente meglio di me, nei dettagli, la sequenza dei fatti che andarono a comporre l’eccidio di ferragosto.
Gli incontri dei capi dei gruppi che operavano in valle per organizzare una presenza partigiana il meno rischiosa possibile per la popolazione della valle, un appuntamento previsto proprio a Bovegno per il 15 col generale Masini, il comandante Fiori delle Fiamme Verdi per cercare l’unificazione di alcuni gruppi presenti in Valtrompia e in Val Sabbia in una Brigata Matteotti, la presenza di alcuni capi e quindi un movimento inusuale in paese, una spia fascista che corre a Gardone a segnalare il tutto, l’organizzazione di una colonna nazifascista per effettuare un rastrellamento per sorprendere e catturare le persone importanti che erano state segnalate, e per Sorlini e la sua banda di camerati, l’occasione propizia per prendersi una vendetta covata a lungo nei confronti di Bovegno, da sempre covo di comunisti e di sovversivi.
Quindi la sorpresa che fallisce perché alcuni partigiani intercettano alle porte del paese due auto a fari spenti, l’avanguardia della colonna; un breve ma intenso scontro a fuoco, l’allarme con un razzo alla colonna nazifascista che comincia ad avanzare e che scatena la rappresaglia tra le strade ed i vicoli del paese. Fascisti e tedeschi che massacrano le persone man mano che le scorgono per strada, sulle porte di casa, e dentro le case incendiando edifici ed abitazioni e assassinando anche chi accorre per cercare di spegnere le fiamme.
A notte fonda la sospensione per poche ore del massacro.
Nella mattinata successiva del 16 a Brescia l’intervento di mons. Francesco Bertoli e del vescovo mons. Giacinto Tredici presso i comandi provinciali nazisti e fascisti per evitare nuove violenze ai bovegnesi.
Ma nel pomeriggio dello stesso giorno, l’oltraggio efferato e brutale sui cadaveri delle vittime del giorno prima, un altro assassinio, nuove distruzioni e incendi in paese.
E finalmente i funerali il 17 agosto a Piano di Bovegno a cui parteciperanno solo le donne che provvederanno a trasportare a spalla le bare dei morti.
Una strage quella di Bovegno, che è solo una delle tante stazioni di quell’infinita “via crucis laica” che compone la lotta di liberazione.
Lapidi, cippi e monumenti, intitolazione di vie, sono lì, infatti, anche nella nostra provincia, a segnare strade e piazze come promemoria e come monito della violenza e della brutalità metodica e sistematica del fascismo.
Nello stesso tempo, attestati di quanto alti siano stati in termine di sacrifici umani i costi per recuperare una prospettiva di vita dignitosa per tutti e per tutte noi.
Lapidi, cippi e monumenti, segni della presenza feroce e disumana dell’ideologia fascista che danno conto di come il fascismo italiano non sia stato e non sia quella cosa da operetta che molti tendono a rappresentare per nascondere le responsabilità storiche italiane nello scatenare i dispositivi di morte di cui quel regime si è servito per imporsi.
Infatti violenza, ferocia e brutalità individuali di fascisti e nazisti erano legittimate e possibili all’interno di quella precisa strategia politico-militare del terrore che il nazifascismo adottò durante l’occupazione nei confronti delle popolazioni italiane, una strategia capace di sfociare facilmente in ripetuti massacri, stragi di stato, diremmo oggi, dopo l’altrettanto tragica sequela di stragi che hanno insanguinato anche l’Italia repubblicana.
D’altro canto la propaganda nazifascista si muoveva per attribuire la responsabilità morale degli eccidi ai partigiani, indicati come la causa del propagarsi della violenza contro i civili.
Una propaganda efficace a tal punto che ancora oggi qualcuno è indotto a dubitare sulle responsabilità di quegli gli eccidi e a chiedere la grazia per Priebke, massacratore mai pentito, delle Fosse Ardeatine a Roma e a Brescia alla testa in prima persona in rastrellamenti, torture e deportazioni.
Quando è viceversa appurato dal punto di vista storico come la pratica della strage volesse essere lo strumento, allo stesso tempo brutale e sottile, per spingere la popolazione a mutare il suo atteggiamento di prevalente complicità con la Resistenza, in un nuovo atteggiamento di totale ostilità verso i partigiani.
A sostegno di ciò, basti richiamare, le precise disposizioni emanate, nel luglio 1944, dal comandante delle truppe tedesche in Italia Albert Kesselring che consentivano il più largo uso della violenza anche contro i civili, disposizioni comuni a quelle che avevano regolato la condotta di occupazione fascista in Jugoslavia, pratiche del resto già adottate dai militari italiani durante la conquista dell’Etiopia.
Allora non è un caso che, nel corso del successivo mese di agosto, si compiano in Italia almeno 25 eccidi di significative proporzioni, facendo entrare la violenza nazifascista nella sua fase più intensa.
Tanto più che la linea della guerra ai civili era sostenuta senza remore anche dal ministro degli Interni della RSI Guido Buffarini Guidi il quale, in un rapporto inviato ai prefetti delle province piemontesi, scriveva che «la popolazione civile nella sua più ampia maggioranza favorisce i banditi e quindi tutta può e deve pagare».
Come sarebbe accaduto a Bovegno.
Ma stamattina siamo qui anche per esprimere la nostra gratitudine a questa comunità per il contributo che essa ha dato alla lotta per il riscatto civile e democratico del nostro Paese.
Gaetano Salvemini scrisse nel 1949:
La guerra per bande sognata da Mazzini durante tutta la sua vita ebbe luogo in Italia dall’autunno 1943 alla primavera del 1945. Fu possibile perché dietro agli uomini che rischiavano la vita nei colpi di mano contro i tedeschi e contro le brigate nere, c’era una seconda linea, che provvedeva i viveri, nascondeva i feriti e proteggeva la fuga degli sconfitti. I combattenti veri e propri respiravano quell’aria. Se quell’aria fosse mancata, sarebbero ben presto rimasti asfissiati.
Questo fu l’apporto essenziale che la comunità che ci ospita ha dato alla lotta di Liberazione e alla Resistenza.
La Resistenza, una vicenda straordinaria, forse la più bella e significativa della storia d’Italia.
Una vicenda che colpisce anche per la sua complessità, perché la lotta armata di chi intraprese e condusse la resistenza armata, nella consapevolezza dei propri limiti – di preparazione, di esperienza militare, nell’enorme disparità di mezzi, strumenti, uomini, rispetto ad un esercito attrezzato e organizzato come quello tedesco – si coniugò con la resistenza non armata di mille e mille anonimi protagonisti, nelle sue innumerevoli forme e manifestazioni del vivere quotidiano.
Una vicenda straordinaria perché – per la prima volta nella storia italiana – si trovarono a reagire alla dittatura fascista e all’ occupazione tedesca, persone di varie ideologie, di varie professioni e mestieri, uomini e donne uniti nella stessa ansia di dignità.
Trasformandosi così da sudditi rassegnati a cittadine e cittadini responsabili.
La Resistenza antifascista, che oggi dobbiamo ricordare nella sua interezza, come esperienza umana, politica e culturale ricca di implicazioni, di significati, di valori, e di eredità per oggi e per domani, che dobbiamo prima di tutto far conoscere e valorizzare contro ogni forma di negazionismo, di revisionismo o anche di semplice sottovalutazione, una stagione straordinaria da ricordare ad un Paese smemorato.
Valori e principi che poi sono stati concretizzati nella nostra Costituzione, la conquista che i partigiani come Lino, Cecco e Libero e la società resistente di allora ci lasciano in eredità, una eredità impegnativa, e come programma per il nostro futuro.
La nostra partecipazione e le nostre parole a commemorazioni come questa di stamattina si risolverebbero solo in presenza e parole di circostanza se non fossimo disposti a raccogliere il testimone di quell’eredità, per svilupparla col nostro impegno di oggi e di domani per la libertà, la dignità e la democrazia di tutte e di tutti qui, a Brescia, in Italia, in Europa, nel mondo.
Infatti “c’è molto da fare e da pensare” anche oggi.
Non è certo questa l’Italia sognata dai partigiani, da quei ribelli e da quei patrioti. Un’Italia attraversata da una crisi che assume sempre di più caratteri drammatici e preoccupanti, di una crisi di sistema, riguardando – insieme – l’economia, la vita sociale, la politica, la legalità, la morale e in ultima analisi la stessa democrazia.
Nel momento più drammatico della nostra storia repubblicana, in cui quotidianamente insieme ai concreti diritti delle persone al lavoro, vengono messi in discussione i principi fondamentali dello stato di diritto, così come si è andato a configurare nel mondo occidentale, primo fra tutti il principio della divisione dei poteri e quello dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge, in un clima di razzismo diffuso, e di violenza inaudita contro le donne e contro i diversi di ogni genere.
Una crisi che secondo molti editorialisti, politici e agenzie finanziarie internazionali, avrebbe tra le sue cause proprio la stessa Costituzione della Repubblica, prodotto storico della Resistenza antifascista.
La Costituzione che sarebbe per costoro un ostacolo al dispiegarsi del libero mercato finanziario, unico regolatore dei rapporti sociali, e non dovrebbe ostacolare il potere assoluto, cioè senza limiti di legge neanche a livello di reati comuni, di chi governa, una volta che sia stato eletto direttamente non da un popolo di cittadini che esercitano la sovranità sulla base della legge, ma da una plebe di spettatori, di consumatori, di tifosi, fidelizzati e uniti misticamente al capo.
E per questo dovrebbe essere cambiata e per questo si sta cambiando !
Noi respingiamo quelle analisi interessate e non ci stiamo e prendiamo sul serio gli appelli di molti uomini di cultura, le parole come quelle del prof. Salvatore Settis che denunciano la gravità e per certi versi l’assurdità della fase politica che stiamo vivendo
La Costituzione è sotto attacco su tutti i fronti. E nessun tema è “di nicchia”, perché la Costituzione non è una litania di articoli isolati, ma una sapiente architettura di principi. In essa, anche il diritto alla cultura (istruzione, ricerca, tutela) è strumento di eguaglianza, giustizia sociale, libertà, democrazia. Ma le modifiche costituzionali di cui si parla in clima di larghe intese non sono indirizzate a questi grandi traguardi. Tendono, invece, a consolidare l’impasse della politica, il “pilota automatico” che assoggetta i governi al potere finanziario, fuori da ogni controllo democratico. Si inventano conventicole arbitrarie e si osa chiamarle “Costituente”: ma un Parlamento eletto con il Porcellum non è legittimato a esprimere nessuna Costituente.
L’unica vera costituente, quella eletta dal popolo nel 1946 con l’espresso mandato di scrivere la Costituzione, fu l’esito di un’incubazione che cominciò sotto l’oppressione fascista, prese un ritmo febbrile con la guerra e la Resistenza e coinvolse importanti figure esterne. Grande fu l’attenzione per la pubblica opinione: nei governi Parri e De Gasperi il ministero per la Costituente, affidato a Nenni, promosse via radio e stampa un’intensa campagna di alfabetizzazione costituzionale. In questo spazio pubblico del discorso, la Costituzione fu il progetto di un’Italia migliore: …
Quanto … lontane quelle strategie dalle manovre sotterranee di ingegneria costituzionale a cui ci tocca assistere!
Quello italiano è un “costituzionalismo debole”: lo Statuto Albertino del 1848, in vigore per cento anni, fu debole fin dall’inizio perché concesso dal re e poi avvilito dal fascismo. La Costituzione della Repubblica ha ben altra legittimazione, perché nata dalla Resistenza; ma il suo slancio ideale è mortificato dalla mancata attuazione di diritti cruciali (come il diritto al lavoro). A questo “costituzionalismo debole” è tempo di contrapporre una Costituzione forte: lo richiede la crisi della democrazia rappresentativa, particolarmente grave per l’iniqua legge elettorale e per la ripetuta legittimazione di un leader che non dovrebbe esser tale per i conflitti di interesse e per le condanne passate in giudicato.
Così, per noi delle Associazioni partigiane, la Costituzione non ha nessuna colpa.
Anzi, la crisi consiste precisamente nel fatto che la Costituzione non è stata attuata che in minima parte e per questo dobbiamo essere assolutamente intransigenti nel chiederne la puntuale applicazione dello spirito e della lettera, innanzitutto da parte ci coloro che hanno cariche pubbliche.
Sono convinto che questo nostro impegno, sia l’unico modo per onorare degnamente le persone che ricordiamo oggi e le donne e gli uomini della Resistenza.
Ecco.
Gli sbandati, i ribelli, i fuggiaschi, i sovversivi, i patrioti, i partigiani e le partigiane, le staffette, le vittime delle stragi e coloro, uomini e donne, che lottarono in tutti i modi e le forme possibili, in Italia ed Europa, per la Liberazione ci lasciano un’eredità preziosa ed impegnativa che dobbiamo raccogliere e sviluppare.
Con il loro esempio ed il loro ricordo nel cuore e la Costituzione in mano dobbiamo essere all’altezza.
Viva la Repubblica, viva la Costituzione italiana, democratica e antifascista”