Di seguito la nostra traduzione dell’articolo uscito sabato 6 aprile 2013, sul quotidiano britannico Guardian.
Una disputa su una statua di epoca fascista rivela una frattura nel modo in cui gli Italiani fanno i conti con il proprio passato
Il Sindaco di centrodestra di Brescia vuole ricollocare una statua di marmo, lodata da Mussolini, poiché la ritiene arte, ma incontra l’opposizione di coloro che credono che il monumento rappresenti qualcosa che sarebbe meglio dimenticare
La statua, detta il Bigio, è rimasta in un magazzino da quando è stata rimossa da una piazza di Brescia nel 1945, Foto: archivio della Fondazione Luigi Micheletti
Lizzy Davies
Nel 1932 una statua di marmo di circa 7 metri, raffigurante un atleta giovane e aitante, fu inaugurata a Brescia, nell’Italia settentrionale, e chiamata “l’Era fascista”. Con il suo petto muscoloso e una mano appoggiata su un fianco con posa austera, fu considerata la personificazione degli “ideali di ringiovanimento del regime fascista”. Si dice che quando Benito Mussolini visitò Brescia elogiò la statua per la sua forza. Il suo scultore, Arturo Dazzi, disse “Adesso, anche se vogliono tirarla giù, non mi interessa per niente”.
E fu ciò che accadde circa 13 anni dopo quando, alla fine della seconda guerra mondiale e dopo la morte dell’ex dittatore italiano, le autorità di Brescia rimossero la statua e la affidarono a un magazzino. Ci rimase per quasi 70 anni. Ma ora, con un’iniziativa condannata dai suoi critici come “apertamente ideologica”, il sindaco di centrodestra della città ha intenzione di rimettere la statua nella sua posizione originale.
Adriano Paroli, del Popolo delle Libertà (PDL) di Silvio Berlusconi, respinge ogni accusa di revisionismo o di nostalgia fascista e insiste che il Bigio (nomignolo con cui la statua divenne nota a Brescia) è un pezzo importante del patrimonio cittadino che può essere apprezzato, al di là dei suoi connotati politici, per i suoi meriti artistici e culturali.
Altri non sono d’accordo. “La statua fu rimossa alla fine della lotta di Liberazione”, sostiene Giulio Ghidotti, presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI). “L’ANPI non accetta di rivedere di nuovo la statua dove si trovava, perché porta con sé tutti i ricordi del regime fascista e l’oppressione che ha sofferto il Paese”. “È un’opera fortemente legata al tempo in cui fu eretta e fu scolpita per ragioni di propaganda. Quindi è difficile per noi vederla semplicemente come un’opera d’arte”.
Nella settimana in cui in Gran Bretagna l’allenatore del Sunderland Paolo Di Canio è stato criticato per essersi definito «un fascista, non un razzista», la disputa scoppiata a Brescia dà un segnale diverso che testimonia delle divisioni presenti in Italia sull’atteggiamento verso il regime di Mussolini e i suoi simboli.
Per Marcello Pezzetti, studioso italiano dell’Olocausto, il ritorno del Bigio sarebbe un esempio inaccettabile di come “i simboli fascisti vengano riportati in vita”. Pezzetti aggiunge: “Mi sembra normale che ci si mobiliti, seppure in modo civile, per ostacolare il ritorno dei simboli che danno una visione positiva di quello che è successo [sotto il fascismo].”
L’ANPI sostiene che la mossa sarebbe provocatoria e offensiva. Vicino alla piazza, ricordano, si trova una targa commemorativa dedicata alla memoria di Alberto Dalla Volta, amico e compagno di Primo Levi ad Auschwitz. La vicina Piazza della Loggia racconta un altro capitolo della tormentata storia del dopoguerra in Italia. Qui, nel 1974, durante una manifestazione antifascista esplose una bomba che uccise otto persone e ne ferì più di 90.
Altri cittadini di Brescia, d’altro canto, si dicono d’accordo con le autorità e ritengono che l’intento sia solo quello di restaurare un’opera d’arte e renderla fruibile al pubblico. Mario Labolani, portavoce dell’amministrazione, sostiene che il progetto di ricollocare la statua faceva parte di una più ampia ristrutturazione di Piazza della Vittoria che mira a migliorare le strutture e ripristinare la sua estetica originale. “Non vi è alcuna posizione ideologica in materia; è stato inventato tutto per ragioni elettorali”, sostiene Labolani. A Brescia, il mese prossimo, si terranno le elezioni comunali.
Non è la prima volta che in Italia scoppia una disputa su un simbolo legato a Mussolini. L’anno scorso, in una città a sud di Roma, fu inaugurato un memoriale al comandante militare fascista, e criminale di guerra, Rodolfo Graziani. I contorni della lite relativa al Bigio sono meno netti. Tuttavia, l’idea di un ritorno della statua ha suscitato scalpore e ha spinto più di 2000 persone a firmare una petizione che chiede che la statua non venga rimessa in piazza. Il loro appello è stato respinto dal consiglio comunale. I critici della decisione ritengono che un simile tentativo non sarebbe mai accaduto in Germania, dove ogni tentativo di riabilitare qualunque cosa abbia legami con Hitler e il nazismo sarebbe un tabù.
“La cosa che mi fa più male è che ho contatti in tutto il mondo (soprattutto in Europa) che si occupano di queste tematiche, dell’Olocausto e della sua storia. E tutti i colleghi che vengono in Italia dicono che solo in Italia sarebbe possibile una cosa di questo genere”, dice Pezzetti, riferendosi in particolare al grande obelisco che reca incise le parole “Mussolini DUX”, ancora visibile a Roma. “È enorme. Tutti i miei colleghi stranieri (soprattutto i Tedeschi) dicono «come è possibile?»”
Dopo l’esecuzione di Mussolini nel 1945 per mano dei partigiani, il Paese rimase profondamente polarizzato e non diede il via a un giro di vite sistematico rispetto al fascismo come si fece in Germania dopo la sconfitta di Hitler. Furono sì emanate leggi che vietano il ricostituirsi di partiti fascisti e l’apologia del fascismo, ma non furono mai veramente applicate.
Secondo John Dickie, docente di studi italiani allo University College di Londra, “dopo la seconda guerra mondiale non vi fu una vera epurazione, poiché l’Italia era in prima linea nella Guerra fredda. Si riteneva, in sostanza, che non si potesse ostacolare il cammino di uno stato, come quello italiano, in cui era presente il più grande partito comunista dell’Europa occidentale. Un sacco di cose non furono ostacolate e molte verità furono nascoste”.
Tuttavia, il fascismo come forza politica è rimasto marginale, almeno fino ai primi anni 1990 quando salì al potere Berlusconi. Nel nuovo scenario della cosiddetta seconda repubblica, Berlusconi iniziò a ripulire l’immagine fascista. Nonostante l’indignazione di molti, il leader del centrodestra italiano portò al governo con sé diversi ex fascisti del Movimento Sociale Italiano (MSI). In questo modo contribuì a fare del suo un Paese dove, secondo il parere di molti, il fascismo (pur ripugnante e inaccettabile per la maggior parte degli Italiani) è considerato in modo più ambiguo da una significativa minoranza.
“Negli ultimi 20 anni o giù di lì, il fascismo è stato in larga misura riabilitato. È stato in qualche modo accettato”, secondo James Walston dell’Università Americana di Roma. I governi di centrodestra, aggiunge, hanno “normalizzato il fascismo in un modo che non sarebbe stato possibile prima del 1994”.
Per approfondire:
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Documento dalle Associazioni Partigiane ANPI e FIVL-Fiamme Verdi di Brescia nella seduta congiunta delle commissioni Lavori Pubblici e altre del Comune di Brescia,
20 marzo 2013 -
Comunicato stampa sul flash mob contro la statua “L’era fascista”, 20 marzo 2013
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Delibera della giunta comunale bresciana del settembre 1945
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Delibera della giunta comunale bresciana del dicembre 1945
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Il presidio contro la statua “L’era fascista” di sabato 23 marzo sul TG3 Lombardia
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Una testimonianza diretta dell’inaugurazione di Piazza della Vittoria con la statua “L’era fascista”, novembre 1932
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Pagina dedicata dal nostro sito alla statua “L’era fascista”