Pubblichiamo un ricordo di Marco Passega, di Bruna Franceschini.
L’EREDITÀ DEL DOTTOR PASSEGA
Era un ragazzo, ma non un “ragazzo di Salò”, Marco Passega. Ricordando i patimenti e i soprusi, non giustificava l’esibizione dei cadaveri a Piazzale Loreto, tuttavia non si sentiva di condannare: “La gente ne aveva patite tante!”.
A muovere la sua scelta era stata la repulsione per l’occupante. Come tanti altri ragazzi, nati e cresciuti nell’era fascista, per ragioni anagrafiche non si rendeva conto di vivere in una dittatura. I giornali non parlavano di processi politici, di suicidi, di repressione. Come tutti era stato balilla e avanguardista, “avanti e indietro a fare i pagliacci”. Dapprima orgoglioso, la divisa gli era poi venuta a noia. Anche perché la sua famiglia non era fascista: sua madre era cattolica “quello che serviva”, ma non faceva politica, suo padre, un “liberale anarchico”, quando parlava del duce lo definiva semplicemente “il buffone”.
Un contesto che aveva contribuito a sviluppare in lui un antifascismo “blando, latente, quasi un’insofferenza, diventata più seria all’arrivo dei tedeschi”.
L’8 settembre, di fronte alla mitragliatrice della caserma Ottaviani puntata sulla Poliambulanza, non ebbe esitazioni. Appena diciassettenne, entrò nella Resistenza di nascosto dai suoi. Lo pensavano in Veneto a studiare, li avvertì solo dopo che salì in montagna.
A differenza di altri giovani bresciani, la sua non fu una scelta dettata da motivazioni politiche o confessionali: non era nemmeno d’accordo col suo comandante, che pretendeva la preghiera serale (“il rosario la sera!”). Una scelta ideologicamente non del tutto chiara, ma eticamente rilevante. A differenza di chi militava nella RSI, chi era salito in montagna non aveva alloggio sicuro, armi efficienti, stipendio congruo: “vestiti sempre quelli, bagnati, fuoco non lo puoi fare, mangiare un po’ sì un po’ no”.
Basterebbe questa diversità a rendere debole la tesi dell’etica della convinzione nei confronti dei “ragazzi di Salò”, come se si potesse scindere la convinzione dalla responsabilità. Responsabilità che il giovane “ribelle” Marco Passega ha voluto invece assumersi, optando per un’esperienza dura e atroce, ma anche esaltante, se è vero che quando finalmente giunse il giorno della liberazione, scese in Piazza Loggia con “la gente contentissima, le fanciulle…”.
Quelli come lui ci hanno lasciato un’eredità grande e forte: lo spirito di servizio riversato nell’impegno politico e sociale, a difesa delle conquiste costituzionali e dei valori dell’antifascismo.