Pubblichiamo il testo dell’intervento di Marco Fenaroli (ANPI Brescia) in occasione dell’incontro pubblico allo Spazio Aref di Brescia sulla ricollocazione del “Bigio”, tenutosi lo scorso mercoledì 23 gennaio.
“Per l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia è doveroso prendere parola.
Ci ho ragionato, quando mi è stato chiesto di intervenire oggi a nome della nostra Associazione, convinto che dobbiamo condurre una battaglia controcorrente.
Nei mesi passati Padre Giulio Cittadini e Lino Pedroni avevano già detto la loro contro la ricollocazione del Bigio: sono rimasti inascoltati.
Sotto il livello della piazza, dietro transenne e recinzioni di protezione del cantiere della metropolitana, l’opera avanza nella sua realizzazione.
La Giunta attuale, in silenzio, rimette al suo posto il Bigio, la statua dell’Era Fascista, alta 7,50 metri.
Nel 1930 le autorità del tempo, sotto la tutela del segretario del Partito Nazionale Fascista, il bresciano Augusto Turati, pensavano ad “una statua eroica, forte, simbolica della rivoluzione fascista, energica e possente, anche dimensionalmente: una statua colossale”.
Recita il verbale delle delibere del podestà Pietro Calzoni: “giovinezza d’Italia, mirando, oltre a consacrare il ricordo della grande vittoria, ad esprimere gli ideali rinnovatori del regime fascista”.
Opera che mostra solidità tetragona, fierezza virile, tranquilla e trattenuta, ma tesa ad una pronta azione.
Il 1 novembre ’32, all’inaugurazione della Piazza, Mussolini afferma “è forte e rappresenta veramente l’era fascista”.
Ci si dovrebbe dimenticare di questa genesi ingombrante?
Come lo potremmo noi che, collaborando con la Cooperativa Cattolica Democratica di Cultura, abbiamo messe due piccole “Pietre d’Inciampo a” ricordare i Dalla Volta, proprio sotto la torre o grattacielo, deportati perché ebrei e morti ad Auschwitz: uno era l’indimenticabile Alberto, compagno ed amico di prigionia di Primo Levi. Quello di “Se questo è un uomo”.
7 metri e mezzo contro mezzo centimetro, tra il simbolo del sistema totalitario ed il ricordo delle vittime della Shoah?
Nella nostra città il monumento alla Resistenza sta raso terra nei giardini di corso Magenta.
I fascisti di Forza Nuova inaugurano la nuova sede con un manifesto recante a tutta pagina il grattacielo di piazza Vittoria: simboli.
Anche di questo si deve discutere, in quel confronto serio che l’allora sindaco Corsini propose a proposito della “Piazza della vittoria e della rivoluzione fascista”.
Autorevoli intellettuali sono a favore, da Robecchi al compagno Vasco Frati: tanto di cappello, ma ognuno ha i suoi doveri.
Prima di tutto respingo il fuoco di sbarramento, teso ad intimidire chiunque fosse contro l’idea dell’assessore Labolani e rispondo alle accuse di:
“Veto ideologico” (siccome si dice che le ideologie non ci sono più, forse si ritiene l’aggettivo sinonimo di cretino): valga quel che abbiamo fatto per l’esposizione del busto del capo del fascismo in Santa Giulia (bella opera del Wildt). Abbiamo chiesto al Sindaco ed alla Direttrice dei Musei Civici l’apposizione di una targa esplicativa dell’origine e del senso dell’opera. Ma chiediamo, come ci è stato chiesto, “se in Germania di ritrovasse esposto un busto di Hitler, allievo del dittatore italiano, cosa succederebbe?
“Intolleranza culturale”: non abbiamo mai parlato, oggi è la prima volta.
“Retorica politica”: giammai. Lavoriamo per liberare l’antifascismo dalle frasi ridondanti: c’è troppo di vero e di drammatico (neo nazisti, Ungheria, razzismo, nazionalismo favoriti dalla disoccupazione di massa e dall’impoverimento, come ci insegnano le tragedie del XX secolo).
“Viscerale antifascismo”: a volte prende le viscere capire che gli spazi democratici vengono usati per seminare menzogna e praticare violenza con parole e botte.
La “tacita omertà” vale soprattutto verso i potenti di oggi, che non sono esattamente quelli che liberarono l’Italia dal fascismo e dalla guerra.
Ci si rimprovera tutto ed anche il suo contrario: perché non avete chiesto di spazzare via l’arengario? Prendevo il bus, c’era un muretto: ora si dice che proteggeva l’opera da insulti? O nascondeva? Io, ingenuo, ero convinto che tenesse nascosto.
Si invoca l’autorevolezza dell’architetto Giorgio Lombardi: si può dissentire da un grande urbanista, uno che tanto è stato ingiuriato da chi oggi propone la ricollocazione del Bigio?
“Conformismo ideologico”: dopo venti anni di destra al governo del Paese, è in voga, semmai, verso di loro.
Va detto che molti, già al tempo, proponevano di spostare il colosso altrove e di mettere altro in Piazza.
Passati sessanta e passa anni dall’abbattimento, per il vero molto curato, il rimettere al posto dov’era la Statua all’Era Fascista non può essere ridotto ad operazione nostalgica: si tratta di una vera e propria opera di rivincita, si deve parlare di revanscismo.
Siamo dentro un pensiero oggettivamente reazionario (il Bigio qui, la colonna di San Marco in centro-centro); il passato della oppressione riproposto, accanto a cose nuove (il G. Miglio di piazza Garibaldi): non è una linea politica?
Tra i regimi oppressivi non si vuole recuperare nulla dell’Impero Asburgico? Forse perché universale, cioè sovranazionale? Per questi va bene in alta Valle Sabbia, qui no.
Qui i liberali, poi chiamati giacobini (per il vero non erano sanculotti, ma nobili bresciani), abbatterono la colonna del dispotismo veneziano ed issarono l’albero della libertà: perché non lo rimettiamo al centro di Piazza Loggia?
A Montichiari, forse a loro insaputa, dedicarono il ponte sul Chiese a Stendhal (che scrisse cose terribili sui bresciani), venuto dalle nostre parti al seguito di Napoleone Bonaparte; poi misero in opera una bellissima ristrutturazione del vecchio ospedale napoleonico, mettendoci la biblioteca; poi in maschera festeggiarono le gesta dei Serenissimi, non solo quelli delle insorgenze di inizio ottocento, anche quelli dell’assalto al campanile di San Marco per la secessione.
Dovrebbe tornare il San Marco: con la spada o con il Vangelo? Naturalmente non un “liberté, egalité, fraternité”, perchè la civiltà borghese, per questi, non va contrapposta all’assolutismo ed alle oligarchie feroci.
C’è un po’ di confusione nella ricostruzione della storia e dei suoi simboli, forse, temendo che il corso della storia prenda una via opposta ai loro desideri, si affrettano a voler lasciare il segno di sé; ma la città è di tutti, anche nostra.
È noto che per noi l’unica via alla convivenza è il rispetto della Costituzione, dei suoi principi, dei sacrifici che ce la consegnarono.
Anche l’arte, sempre libera, deve rispondere a questo comandamento.
Mi immagino due dialoghi tra un bimbo e il suo nonno.
Uno in Piazza della Signoria a Firenze. “Chi è questa statua?”-“È il David di Michelangelo”. “Chi l’ha fatta fare?”-“La Repubblica di Firenze”.
L’altro in Piazza Vittoria. “Chi è questa statua?”-“Il Bigio del Dazzi”. “Il gigante si chiamava Luigi?”-“No”. “Chi l’ha fatta fare?”-“Il Duce”.
La differenza si nota.”